Rawsht Twana: senza più peso (II parte)

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Sono passati quasi due anni dall’ultima volta che ho intervistato Rawsht Twana, e molte novità sono sopraggiunte nel frattempo: la più importante è che finalmente la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha accolto favorevolmente la sua richiesta d’asilo politico. La folta barba nera che bordava il viso di Rawsht è scomparsa, lasciando spazio a un sorriso aperto e sereno. Nuovi progetti e nuove mostre sono in preparazione. Il fotoreporter curdo iracheno giunto nel 2017 un po’ per caso e un po’ per uno strano gioco del destino nel capoluogo piemontese, è diventato a tutti gli effetti cittadino di questa città e dell’Italia. Ma come sono cambiati il suo sguardo e la sua quotidianità in questi lunghi mesi d’attesa e incertezza e soprattutto dopo aver ottenuto i documenti? Lascio a Twana la parola, anch’essa mutata in questi anni: le risposte alle mie domande ora parlano la lingua del paese che l’ha accolto.

CHE COSA HA SIGNIFICATO PER TE, DOPO ANNI DI ATTESA E PRECARIETÀ ESISTENZIALE, OTTENERE I DOCUMENTI PER POTER VIVERE E LAVORARE IN ITALIA?

Quando ripenso agli anni di attesa, subito mi viene in mente la coda che ho fatto per settimane per fare la richiesta di asilo politico! Due anni di difficoltà, di stress, di mancanza di stabilità continuativa, ora dopo ora, giorno dopo giorno, e mille altri pensieri. La cosa più difficile è stata non poter vedere mia figlia crescere: al telefono, quando la sentivo, molto spesso mi diceva “non voglio parlarti, preferisco vederti e abbracciarti forte, almeno un’altra volta” e dopo queste sue parole sentivo che nessuna mia risposta aveva più molto senso.
Per due anni ho sentito che i miei piedi non toccavano terra, che camminavo senza sapere verso dove, che ridevo senza sapere il perché, che festeggiavo tante cose ma mi sentivo sempre strano tra miei amici. Le fotografie dell’archivio di mio padre sono state esposte a Lubljiana, ma io non potevo lasciare l’Italia e non sono stato presente, ho visto la mostra su Internet. Per farmi sentire meglio, parlavo con me stesso, mi ripetevo “dai, passerà tutto e arriveranno momenti migliori.”
Quando dopo due anni ho ricevuto il foglio con la risposta positiva della Commissione, non ho sentito niente, nessuna emozione, non riuscivo a ridere e nemmeno a piangere, non ho lasciato cadere una sola lacrima per questa buona notizia.
I due anni di attesa per me hanno significato perdere dodici chili. Quando è arrivata la risposta, mi sono sentito subito più leggero e il peso che mi schiacciava è quasi scomparso, sono molto contento, ora posso immaginare un futuro più limpido, e andare avanti con le idee e i progetti che mi hanno portato qui.

COME SI È EVOLUTA LA SITUAZIONE POLITICA E ECONOMICA NEL TUO PAESE D’ORIGINE?

La situazione politica nel mio paese è peggiorata ancora, si può dire che lì ci sono sempre problemi, c’è un po’ di pace per qualche anno e poi subito dopo arriva una nuova guerra. Il Kurdistan è una regione dell’Iraq ed è limitato dal governo centrale, dopo il Referendum di indipendenza, è ovvio che ogni guerra peggiora anche l’economia, i politici che sono al potere sono gli stessi che hanno combattuto contro Saddam Hussein e hanno scatenato la guerra civile in Kurdistan, quindi la situazione per i giornalisti locali non è buona, non c’è libertà di parola, ci sono controlli e limitazioni alla libertà di espressione dei giornalisti.

QUALI SONO I TUOI OBIETTIVI PER IL FUTURO?

Gli obiettivi non sono cambiati, sono gli stessi di quando sono arrivato qui, ma ora ho la libertà di viaggiare e di muovermi senza vincoli, per realizzarli. Soprattutto, adesso so che posso rivedere la mia famiglia, e finalmente mia figlia potrà riabbracciarmi, spero il più presto possibile.

PER QUANTO RIGUARDA LA TUA PROFESSIONE DI FOTOREPORTER, A QUALI PROGETTI STAI LAVORANDO?

Nel 2020, a maggio, inaugurerò una mia mostra fotografica, che parla dei due anni di vita che ho vissuto in Italia come un immigrato: da quando sono qui, sto documentando la mia nuova vita, come un esempio di che cosa significa essere immigrati in attesa di documenti. La mostra sarà esposta al Castello di Magliano Alfieri, in provincia di Cuneo, durante un Festival di musica, poesia e arte.
L’archivio fotografico di mio padre sarà pubblicato in un libro trilingue (inglese, curdo, arabo) dal titolo Twana’s Box Kurdish archive, che uscirà quest’anno, insieme a una mostra che girerà il mondo: io e il mio collega Stefano Carini siamo in contatto con alcune gallerie per capire come organizzarci.
Adesso sono ancora seguito dal progetto SPRAR, ma per un periodo limitato. Quando riceverò i documenti e potrò avere un lavoro regolare, prenderò una casa in affitto, la sto cercando già ora. Quindi la stabilità di vivere in un posto mio ancora non c’è, le difficoltà della vita continuano, sono alla ricerca di un lavoro…

Fotografia di Lorenzo Ubertalli