Recensioni
Arpad Weisz
Ascesa e caduta di un allenatore
a cura di Guido Michelone
Dallo Scudetto ad Auschwitz è il primo e unico libro di Matteo Marani (classe 1970), laureato in Storia a Bologna, già direttore del Guerin Sportivo e di Sky Sport 24, dal 2023 presidente della Lega Italiana Calcio Professionistico. Sui tratta di un testo del 2007 – pubblicato ora dall’editrice Diarkos – che affronta le vicende dell’ungherese Arpad Weisz (1896-1944), calciatore e poi trainer, il quale dopo una breve esperienza da ala sinistra nel campionato italiano degli anni Venti con Alessandra e Inter, inizia una vera e propria escalation da allenatore vincendo, ad appena trentaquattro anni, uno scudetto con i nerazzurri (chiamati Ambrosiana a causa del fascismo che, da nazionalista, mal tollerava un termine come Internazionale): si tratta della stagione 1929-1930, primo campionato a girone unico nella storia del football italiano, restando tutt’oggi il più giovane coach straniero a trionfare in Serie A, mentre il primato assoluto appartiene al trentatreenne Armando Castellazzi, alla guida sempre dei nerazzurri nel 1937-1938 dopo la militanza come mediano nella squadra allenata Weisz medesimo.
E proprio nel 1938, dopo due scudetti consecutive con il Bologna, la vita di Weisz muta bruscamente: in quanto ebreo, vittima delle leggi razziali in Italia (volute da Mussolini per compiacere Hitler), ripara in Olanda convinto, come tanti di essere al sicuro vista la neutralità della nazione: ma durante la Seconda guerra mondiale, noncuranti delle Convenzioni di Ginevra, i tedeschi occupano egualmente i Paesi Bassi, umiliando sono solo ebrei, ma anche comunisti, anarchici, zingari, omosessuali, handicappati. Dal maggio 1942 gli ebrei sia olandesi sia stranieri sono costretti a indossare una stella gialla sulle giacche, i suoi figli Roberto e Clara vengono espulsi da scuola e lo stesso Weisz non riesce più lavorare, licenziato dal Dordrecht (con cui pochi mesi prima evita la retrocessione) a causa di una minaccia da parte del commissariato di polizia.
La famiglia, all’inizio, riesce a sopravvivere nel borgo olandese, grazie ai sostegni economici dei dirigenti della sua ex squadra, ma il 2 agosto 1942 i Weisz viene fermata dalla Gestapo, che pochi giorni la spedisce nel campo di transito di Westerbork nell’Olanda del nord-est da cui transita pure Anna Frank. Due mesio dopo la famiglia Weisz parte sul treno diretto ad Auschwitz, dove, il 7 ottobre, Elena, Roberto e Clara vennero subito uccisi nelle camere a gas; Arpad, invece, con altri trecento uomini, scende a Cosel (Polonia), per finire nei campi di lavoro dell’Alta Slesia; dopo quindici mesi di lavori forzati durissimi, un Weisz debilitato è definitivamente ricondotto ad Auschwitz, dove finisce anch’egli gassato il 31 gennaio 1944, a meno di un anno dalla liberazione da parte dell’Armata Rossa sovietica.
Il libro si sofferma anche sul protagonista allenatore, i cui punti di forza risiedono nei metodi di allenamento, per l’poca alquanto innovativi: Weisz è la prima guida tecnica lavorare con i giocatori, durante gli allenamenti, indossando come loro tutta o maglietta e calzoncini, introducendo altresì specifici carichi di lavoro per comparti (difesa, centrocampo, attacco), curando la dieta dei calciatori, diffondendo la prassi dei ritiri, visionando personalmente le promesse dei settori giovanili. Proprio grazie a quest’opera definibile oggi come scouting, nel 1930 scopre – su consiglio di Fulvio Bernardini, altro grande centravanti interista – un ragazzo destinato a fare la storia del calcio italiano: è Giuseppe Meazza, emerso a neanche vent’anni quale capocannoniere del campionato.
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