Recensioni
Se l’Umbert fa scuola
Da giorni le agenzie di stampa – la stagione estiva è appena iniziata e le minchiate fanno ancor più gola – hanno rilanciato un presunto successo delle poesie di Umberto Bossi su tutti i social.
Esattamente, sì, Bossi, il Senatur, l’Umbert, il Padanialibera.
Parrebbe infatti che l’ex segretario della Lega Nord – roba da archeologia politica che neppure Craxi o Andreotti: quel partito, non so se ricordate, dell’ampolla del Po, di RadioPadania, dei raduni a Pontida – abbia scritto in passato, e prima di scendere in politica, una serie di poesie, per di più in dialetto.
Ma se vi aspettate un Raffaello Baldini con accompagnamento di polenta, o un Tonino Guerra in canottiera, vi avvisiamo di abbassare le vostre aspettative.
I componimenti in versi pare che risalgono al tempo in cui il Bossi si dilettava a incidere canzoni e dischi (celebre la battuta di Troisi che ritrae in un suo intervento televisivo il fondatore del celodurismo scoperto con un disco di Peppino di Capri nascosto in salotto) e possiamo dirlo, sono quanto mai attuali.
Inutile girarci intorno: il Bossi ha aperto dei sentieri solcati a distanza di decenni dal più grande dei poeti italiani viventi.
Se il varesotto scriveva Sacri / Sono i boschi. / E i prati. / E la nostra acqua. / E il vento. / E la neve. // Sacre/ Sono le radici. / E la nostra lingua
Non possiamo non citare il noto poeta campano che nell’ultima liturgica raccolta apparsa (è il caso di dirlo) per Einaudi scrive un intero libro di sacro che vanno a capo (citiamone, fior da fiore, uno per tutti: sacro / il silenzio che c’è / tra le dita dei piedi).
Questa rivalutazione in vita da parte di un verseggiatore meridionale di un poeta padano obiettivamente è l’ultimo dei parallelismi che ci attendavamo in seno al grande panorama lirico del belpaese.
Ma siamo o non siamo un popolo di poeti? In fondo dopo il 1861 qualsiasi tipo di travaso linguistico è consentito.
Come non notare fra l’altro una evidente vena non solo naturalistica e paesaggistica (eccola, la paesologia ante litteram) ma anche ambientalista, del Nostro, che denuncia l’avidità umana di fronte a Malpensa.
Terra, / Che hai ascoltato / Squittire la talpa / E bestemmiare le rose verseggia Bossi quando ancora i Friday for future sono lontani a venire, e ancora Terra / Ho visto le sirene / Degli stabilimenti / Diventare siringhe / E i seni delle ragazze / diventare mazzi di tumori
e l’eros diventa subito thanatos.
Saltellando fra i versi di Bossi torna in mente quel romanziere con bandana che descrisse mirabilmente Vitaliano Trevisan: “Bisogna tornare ai ritmi della natura” (“Che stracazzo si potrebbe e dovrebbe fare per tornare effettivamente, qui e ora, ai ritmi della natura?).
Insomma, se si vuole giungere a una conclusione lo facciamo girando ai lettori un quesito: se cioè sia meglio il Bossi politico o il Bossi poeta, o se più semplicemente i due Bossi si equivalgono.
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