Recensioni
UN POPOLO DI SCRITTORI E ANALFABETI (SALVATO DAGLI IMMIGRATI)
Cosa si stampava in Italia, cosa si ristampa, cosa si pubblica
È entrato nelle classifiche di vendita un romanzo anomalo.
O meglio, molti lo definirebbero tale.
In realtà è la storia, autentica, e narrata in prima persona, di un immigrato polacco che vive da tempo in Italia e che fa narrazione raccontando la propria vita.
Si sta parlando di questo libro per l’innovazione linguistica che immette nell’asfittico panorama delle patrie lettere.
L’innovazione sarebbe un italiano – in realtà molto più corretto di quello usato quotidianamente da molti italiani – scritto da uno straniero che l’italiano non ha studiato, ma l’ha vissuto e imparato per strada.
Janek Gorczyca è un senza fissa dimora che lavora come fabbro a Roma, e che vive nella capitale facendo i conti costantemente con sgomberi e precarietà esistenziale dettata da cieca burocrazia e becera legislazione.
Le premesse insomma, ci stanno tutte.
Eppure il libro delude. Delude perché la tanto sbandierata innovazione linguistica non c’è – l’italiano di Gorczyca è molto più sorvegliato di quello che si vuol far credere – tanto che pallida appare la sua scrittura rispetto ad altri esempi di italiano incolto, scritto da semianalfabeti (uno per tutti il Rabito di Terramatta, o Gnanca na busia, di Clelia Marchi) che non posseggono una piena conoscenza dell’italiano.
Ma a deludere è anche la portata narrativa della vita del protagonista. Qui non si sminuisce ciò che ha dovuto superare Gorczyca durante la sua esistenza romana, la spasmodica ricerca di un tetto per lui e la sua amata compagna, i numerosi sgomberi subiti, i tentativi di suicidio, ma il fatto che tutto questo non riesce a diventare un libro, né tantomeno un romanzo.
Da un’esistenza ed eventi del genere il lettore dovrebbe uscire scosso, a pezzi, invece si riduce quasi a un lungo elenco di liti fra immigrati, domicili persi e riacquistati, sventure assortite che non catturano, ma per lunghi tratti annoiano. Tale reazione avviene perché è stato deciso (l’invito a scrivere della propria vita gli è stato dato dallo scrittore, insegnante, e attivista politico Christian Raimo, che ha inoltre ospitato Gorczyca a casa sua e che ha proposto il romanzo finito a Sellerio) di far assumere a questo doloroso grumo la forma romanzo, che non ci appare riuscita, dato che altresì ciò che ha vissuto Gorczyca difficilmente ci annoierebbe, ma ci coinvolgerebbe empaticamente.
Un lavoro pertanto che avremmo visto bene nel partecipare al Premio Pieve, che si svolge ogni anno a Pieve Santo Stefano – paesino dell’aretino – e che raccoglie manoscritti autobiografici, e che invece facciamo fatica a contemplare e far entrare nei nostri aridi cuori. La notizia che sia entrato in classifica attesta altresì la bontà della scelta editoriale, nonché quella critica dei sottoscritti.
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