Approfondimenti
silenzio
“È l’incertezza che oscilla
tra quel che più non ho
e ancora dovrò perdere”.
Sono i versi del poeta Mario Luzi che come un mantra, accompagnano questo periodo vissuto così, indefinitamente.
È un’incertezza verso tutto ciò che è capitato, sta capitando e capiterà. Questo tempo di quarantene e mascherine ci sta segnando, sta incidendo e io penso occorra essere concentrati su un unico obiettivo, come a rimarginare una cicatrice. Non serve puntare dita contro qualcuno, cercare colpe e colpevoli di quanto sta succedendo. Non ora, quantomeno.
È un momento che riguarda tutti, nessuno escluso. Riguarda chi ha scorrazzato da una pista di sci ad un’altra, da un tetto all’altro in cerca di grigliate. Riguarda chi da nord è andato a sud in una sorta di karma che si chiude e risponde a mille altri perché.
Riguarda chi da un mese e più non mette il naso fuori casa se non come da decreto massimo, per urgenti necessità.
Riguarda chi prima ha detto, tutto aperto, tutti aperitivi, noi non ci fermiamo. Noi ci ingozziamo, spendiamo e spandiamo.
Riguarda quei personaggi che come in una recita da commedia dell’arte, dopo aver voluto tutto aperto, ora ci tiene tutti chiusi. E poi di nuovo aperto, ma no! è ancora chiuso, avete capito male.
Tutto chiuso, allora. Chiuso l’abbraccio, chiuso il bacio, chiuso il contatto, aperti solo alla fila, alla distanza sociale che ammazza ogni prospettiva di crescita umana, prima ancora che economica.
Riguarda il nostro io che dovrebbe essere in grado di sapere perdonare non sette volte ma fino a settanta volte sette. Ed è il sette il numero a cui mi aggrappo in questo periodo in cui tutto non è più nostro e ci costringe ad essere soli fra tanti e infiniti io.
Il sette numero della completezza, di anni passati nell’attesa di qualcosa che potesse renderci esseri perfetti nella continua e magnifica imperfezione, ora mi fa compagnia nella luce della notte. Mi fa crescere, mi fa scrivere, mi fa affezionare, mi fa dichiarare, mi fa sopravvivere così come ognuno di noi cerca la propria mutata identità.
E ora che il contagio ha preso la plancia di comando, non serve alcun dito puntato. Lo abbiamo detto, lo so ma ribadirlo non guasta. Occorre silenzio, la quiete come obiettivo.
Silenzio per rispetto di chi è morto per ridurre il contagio, silenzio per i nostri cari, i nostri amici, i nostri conoscenti che in una sorta di domino infinito, ci hanno lasciato a causa di questo virus globale che ci insegna o dovrebbe insegnarci o speriamo sia così, a guardare in prospettiva le cose e il nostro modo di agire e vivere, in maniera diversa.
Non più al primo posto l’economia, non più al primo posto il profitto.
Ma la salute, il benessere collettivo, in una gestione della vita umana che guardi più al benessere umano appunto piuttosto che al benessere produttivo.
Il silenzio per concentrarci su chi ora sta combattendo, su chi è colpito e altro non può fare altro che parare i colpi e aspettare.
Lo stesso silenzio che ci permetterà quando tutto questo avrà svoltato dietro di noi, di trovare una sintesi, un totale, una somma, sotto alla riga capitale del nostro sapere crescere e stare nuovamente insieme.
La nostra quiete e la nostra “pena sarà durare oltre quest’attimo”.
APRILE-AMORE
Tempo che soffre e fa soffrire, tempo
che in un turbine chiaro porta fiori
misti a crudeli apparizioni, e ognuna
mentre ti chiedi che cos’è sparisce
rapida nella polvere e nel vento.
Il cammino è per luoghi noti
se non che fatti irreali
prefigurano l’esilio e la morte.
Tu che sei, io che sono divenuto
che m’aggiro in così ventoso spazio,
uomo dietro una traccia fine e debole.
È incredibile ch’io ti cerchi in questo
o in altro luogo della terra dove
è molto se possiamo riconoscerci.
Ma è ancora un’età, la mia,
che s’aspetta dagli altri
quello che è in noi oppure non esiste.
L’amore aiuta a vivere, a durare,
l’amore annulla e dà principio. E quando
chi soffre o langue spera, se anche spera,
che un soccorso s’annunci di lontano,
è in lui, un soffio basta a suscitarlo.
Questo ho imparato e dimenticato mille volte,
ora da te mi torna fatto chiaro,
ora prende vivezza e verità.
La mia pena è durare oltre quest’attimo.
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