Approfondimenti
Sono un fantasma, nulla che sia fantasmatico mi è estraneo
Sarebbe stato bello tramutarmi in Chris Martin nella fase di gestazione del suo ultimo CD. Quando il suono nebbioso dei pensieri deve aver strappato il leader dei Coldplay dal semisonno della coscienza ordinaria: «L’idea di Ghost Stories per me era: “come si fa a permettere che le cose che accadono a voi, ai vostri fantasmi, influenzino il vostro presente e il vostro futuro?” Perché c’è stato un periodo in cui ho sentito che i miei fantasmi mi stavano trascinando verso il basso, a rovinare la mia vita e quella di chi mi circondava»… Sancta simplicitas Coldplayarum! Al confronto Carl Barks, l’inventore di Bombie, il morto vivente vendicatore protagonista, nel ’49, di Paperino e il feticcio, è… Leonardo da Vinci! Dev’essere stato un uomo notevolissimo, Carl Barks. Basta rileggere cosa scriveva, sessantacinque anni fa, del suo Bombie the Zombie, per saggiarne la verve: «Che cos’è un Bombie?». «È un tizio che non esiste, ma se esistesse non dovrebbe esistere». «Tu ne hai visto qualcuno?». «No! ma se lo vedessi chiuderei gli occhi per non vederlo!».
Se avesse coscienza della propria condizione, e il desiderio di manifestarla, un fantasma erudito come, mettiamo, il filosofo Atenodoro di cui parla Plinio il Giovane potrebbe esclamare phantasma sum, phantasmatici nihil a me alienum puto. Sono un fantasma, nulla che sia fantasmatico mi è estraneo. Immagino che anche i fantasmi possano inseguire l’ideale della dignità di specie. Cosa che non desta sorpresa, in generale, poiché a tutti i livelli della scala dell’essere a ogni centro di coscienza corrisponde un asse e un ombelico del mondo. Una vera e propria fobia cosmica, quella della fedeltà al proprio punto di vista come misura di tutte le cose. Tutti, abbiamo un’idea del nostro ambiente, tutti sentiamo di assecondarne la dinamica, tutti. Gli invertebrati. I minerali. I mammiferi maggiori. Le larve. Le sanguisughe. I lemuri. Gli elfi. Le alfe maghrebine. Le settantotto forme di vita che fanno, insieme, il patrimonio biologico di un ecosistema di non ricordo dove. Gli extraterrestri nella propria navetta spaziale. Quelli per cui una galassia è come un colpo di pennello di Seurat dentro a un murales di Rivera. Quelli che di una galassia non sanno cosa farsene (né di Seurat né di Rivera, né ovviamente della Kahlo) immersi come sono nel proprio citoplasma privo di scheletro. Quelli, i parassiti, che tirano a campare rattrappiti in un angolo dell’orizzonte o di un ugello rugginoso abbandonato in qualche rimessa meccanica in via di smantellamento sul pianeta X e quelli che impazzano nella solida risorsa del proprio flusso esistenziale. E quelli, infine, come i ragni, che tessono le loro tele dal bel mezzo di universi percettivi che a noi sembrano inconsci, senza ragione, e che al contrario potrebbero essere letti come gli strumenti di un’orchestra che esegue una sinfonia complessa nella quale il suono di una corda si riverbera su tutte le altre.
Ogni fantasma è un caso a sé. Nel dolore, nella rabbia, nella desolazione, nell’impotenza frustrata, nella qualità dello slancio verso il mondo, ognuno trova il proprio modo di darsi da fare affinché ciò che è stato non sia più come è stato. Visti con gli occhi dell’osservatore, stretti in un mazzo, appaiono come degli esseri spirituali sottoposti al proprio turbamento che insistono per sfuggire all’immodificabilità delle sue conseguenze. Ma io non li vedo quasi mai così. Se lo facessi, non riuscirei a trovare che scarsi punti di contatto con loro, e mi interesserebbero poco. Nemico del rimpianto, sarei istintivamente portato a disconoscerli. Mentre quando mi trovo in uno stato di forte tensione energetica mi sento bene soprattutto se sono solo in loro compagnia, qui nel mio studio oppure altrove. Se mio nipote, che sta giocando ai pirati a pochi metri da me, entrasse d’un balzo e mi chiedesse «A parte gli scherzi, zio, cos’è per davvero un fantasma?», risponderei rovesciando le parole di Barks. «È un tizio che esiste ma che non tutti vedono. E se non esistesse… be’ dovremmo farlo esistere noi».
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