Amelia Rosselli : My Clothes to the Wind (1952) – I miei vestiti al vento in Traduzione (II)

a cura di Marco Nicosia

continua […]

 


Due anni prima dei diciott’anni eravamo dove siamo ai diciotto ma ci dirigemmo invece dove i diciassette potessero espandersi finché la migliore coscienza dei diciotto ci avesse nuovamente riportati fuori dagli effluvi londinesi di sugo. 

 

Ancora questa disconnessione senza colpe e il rispecchiamento delle parole non potranno cancellare alcuna visione al di fuori, oziando con verbi fuori luogo da allora respinge indietro ogni sorta di rotazione e narrazione invece l’estate era rimasta fissa in piedi.

 

Si sbloccò verso settembre con piogge improvvise. I piatti masticati della zia sdentata regolarono gli intestini; il suo blaterare era cibo meno adatto. Una stanza giù dalle colline ma al di là del fiume della città ospitò questi gruppi più tardi di notti in veglia, più piene del giorno, e le trasformò in follia il nostro urto adolescente per la razionalizzazione. In bagno è appeso uno specchio, la tubatura del bagno era stretta e a un certo punto si bloccava, anch’io mi bloccai prima dello specchio come per simpatizzare, osservando crescere concisi singhiozzi. Sminuzzata, giacché dà effetto ma l’effetto niente cura, e poi per curare gli organi fondamentali serve il loro supplemento, impensabile e comunque introvabile. Se mi fossi concessa di guardarli da un altro punto di vista avrebbero potuto essere alberi e muri fatiscenti. La città allora sarebbe stata meno serrata eppure essi non offrirono alcun appiglio per il nostro aggrapparci alle certezze astratte: stati d’animo malati si ripetono tuttora sopra lo sforzo d’oggi all’irresponsabilità.

 

Di nuovo questo sporco parlare non è abbastanza trasparente, non posso fare come avrei voluto e realizzare la cosa in modo più piano. Non si può dire che ci si potesse aspettare altro. Sei morta scavando e portando in fuori ciò che comunque può esser facilmente rimpiazzato dagli alberi e dagli effetti di luce. Ciò che avrebbe potuto essere più naturale di qualsiasi altra cosa ad eccezione di questa spiegazione arbitraria di un momento di lamentele quando tieni in mente che ogni volta hai trovato un nuovo set di facciate e che forse dopotutto sarebbe stato molto più eroico descrivere l’atmosfera generale, come segno di un interesse unicamente disinvolto verso i tuoi affari, che comunque qualcuno dice scaturiscano direttamente dalla grande qualità degli alberi e degli effetti di luce medesimi, così come i progressi politicamente tattici di cui dicono anche tu sei partecipe pur tenendo soltanto un umido foglio di giornale in mano. 

 

Questi stessi arrampicamenti necessari per arrivare alla saggezza devono esser considerati con occhio pedagogico da alcuni, o al contrario da colui che manca di figli e vorrebbe esser visto come il padre indulgente di quel che era prima di lui.

 

In seguito, un tentativo di far smuovere la cosa, un colpo alla nostra pasta di ma e di se e se da una parte e se dall’altra ti porterà comunque un po’ più vicino al momento in cui versi più vaghi hanno inizio. 

 

Raggiungere la porta della stanza stavolta decise di rasentare una strada interna sulla curva interiore del fiume potendo strisciare attraverso i corridoi oscurati, un vecchio venne il mattino storto e rigonfio di piaghe. A ottobre il suo sangue si fece salto mortale; egualmente devitaminizzati dodici pensionanti si contornarono due volte al tavolo da pranzo di sopra, sbucciando le castagne fredde dopo la carne. Il vecchio spazzò e io spiegai che non doveva pensare che la notte lasciasse riposo eccetto che dall’alba al suo arrivo. Non dimostrò mai indifferenza né io parlando intendevo scambiare e mitigare la preoccupazione. Comunque non c’era quasi nulla da dire se io stessa non ero sul punto di comprendere cosa sulla terra o al di fuori di essa cercassi che potesse sganciare la mia colpa. Alle chiazze dell’oscurità la calma del giorno si confuse in delirio, piramidale, con le sue alte volte:

 

Sei troppo giovane, figlia mia, per pensare che pellegrinando tu possa risalire alcun flusso di pensiero beatamente scarno per aver gettato un’arida maestosa femmina fuori dal buco della serratura. La tua luna ingioiellata, la tua palla carenata di giubilo proprio allora piena si rivelò in seguito screziata, imbottigliata, piena di spille e di latte e di altre variegate mancanze. Piroetta, piroetta mia cuccioletta, becca e stecca le signorili camere dell’anima, i loro morti, oltremodo morti proprietari ingonnellati alla scozzese, soffia via le loro ceneri. Vendi l’orologio, vendi i treni vagonati, vendi tutto e salpa verso gli scintillii dorati masticati dall’orizzonte. L’androne, il tutto, il nulla, voglio recitare e desiderare innalzarsi il nostro desiderio colombato colonnato miracolosamente! 

 

L’invocazione intera quando in esaltazione è topo che strilla alla trappola del topo. Benché io tolleri cinte di riserva mai dipingerò il mio palato di rosa né cambierò alla rugiada la sua tosse. Gentilezza è falsa o limitata. Potesse finire pure, potessi io pure graffiare il muschio per suonare da sola il tamburo che non riversa pena su nessuno! Docile madre! Sciogliti, padre mio, di traverso la sua toracica fessura, e asciuga l’inchiostro entro di lei, dolce sussurrale che sbaglia nell’avermi incatenata col far riposare il suo cuore pulsante, sicché io non farò baraonda nel conquistare l’affamata carne del padre. 

 

Egli passa la cera in una camera blu quanto basta e solleva la figlia dal timido sgabello di lei, convoglia un’orda di angeli che le arrossiscono attorno al braccio capiente. Piacevolmente si stringono insieme.

 

Ma quando lui riempì le mie tasche e succhiai e afferrai il suo frutto liscio e falso, mi trovai ineguale ad ogni peso sulla terra e senza forma. Mentre il biancore della neve divagò in ruggine come fosse arrivata la pioggia, lui vendette i miei vestiti al vento. Nessun mio abbraccio aveva mai spalancato la sua collezione di sospiri.

 

Incurante di ciò che adesso è da fare nulla sta dalla mia parte, lei ha spazzato via la sua promessa, l’ha accartocciata in una piccola busta di carta, ed è andata al mercato. Mi ha nutrita di spiccioli senza senso, mi ha portata in banca, ha fatto in modo che mi conteggiassero e rintracciò la somma eccedente. Appoggiai delicatamente la mia mano per toccare l’erba alta di mio padre. Mi tagliò fuori e chiuse alla svelta la mia culla. Ora vivo con la mia carne ingrigita fin quando i salmi cresceranno vigorosi e acque di un marrone più selvaggio con paure più nere e flutti più neri alla radice di ciò che è chiaro persino a me che piango e curioso nel mio cuore battuto in breccia.

 

Tu eroina, tu congelata patata, eccoci al momento più intenso e che ordinario cade, più asciutto dei sensi d’una signora quattro giorni dopo che il sangue inizia a sgorgare! Tampona al doppio quella parola delirio menziona invece come i cieli ruggirono in dentro e fecero pressione al tuo rigirarti sul lenzuolo, come le strade incrocianti ti ghermirono la gola tirando in fuori il pregiudizio, l’aria tanto rarefatta che potevi udire il nostro santo padre pregare, – come un ago o l’altro penetrò la testa e infine fermò lo spettacolo dopo otto notti in bianco.

 

So di altri che invece continuarono ad osservare lo specchio minaccioso dalle escrescenze rosa, come di coniglio, finché anch’essi furono folli animali dalle lunghe orecchie privi di desiderio e potere tali da andarsene via infangandosi in quel buco segreto e fantastico; quanto a me uno sguardo in basso al suo fondo mi portò a farfugliare per un conforto materno e fraterno e paterno, avvinghiate voi le vostre braccia intorno a me che sto nei tremiti! Debbo abbandonare questo spettacolo senza padroni, bisogna che devo o morirò forse e sicuramente cadrò giù, per favore qualcun altro vi imploro correte questa danza! – poiché io in tutta necessità, non vergogna, non falsamente, tremai sul vortice granitico di scale fin sulle stanze, tanto fredde alle tre e mezzo sul finire della notte, per avere aiuto. Chi poteva esser chiamato lì che sarebbe accorso immediatamente allo sguardo con cui imploravo insieme al soffocare delle mie domande? Avevano atteso col cuore piccolo e amareggiati d’esperienza mentre io li schivavo e sapevo meglio di me sul mio disconforto e non dissi niente finché li pregai benché ingrata. Nel calore della stanza e in tutti i punti sciogliendosi dalla gioia una donna dai capelli tinti d’arancio strepitando per la custodia degli uomini e per l’accudimento d’una madre quasi morta aprì le mura imprigionanti. La sua parte più salda, il suo amore arrivava alla porta mentre io deliravo e poi mi addormentavo. Nell’incoscienza del sonno io arrivai alle scelte e alla mischia, e alla ricognizione.