Tu la conosci, Giulia?

Intervista a Letizia Pezzali, autrice di “Lealtà”, un romanzo fortunato che racconta le passioni di una giovane donna di cui vogliamo sapere di più

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Non mi capita spesso di innamorarmi di un libro direttamente tra i banconi di una libreria. Non al punto di rigirarmelo tra le mani, leggere la quarta, sbirciare l’incipit e portarlo subito alla cassa come un bene prezioso che salterà la fila impilata sul comodino.
Il merito è tutto di Letizia Pezzali, autrice di “Lealtà” (è il suo secondo romanzo); della sua intuizione di raccontare una storia così particolare; delle prime cinque righe scritte in un modo che mi ha spinto a frugare più avanti, poi verso la metà e nelle ultime pagine, avendo conferma di una scrittura asciutta ma densa di immagini. Merito anche di una certa assonanza tra la vicenda di Giulia e la mia: il mondo della finanza londinese, le passioni che esplodono tra le mani, che si cercano, che riempiono i vuoti, che riappaiono dopo qualche anno di vita carsica, che si cristallizzano ma ci segnano per sempre. Merito, infine, della contemporaneità di cui è intriso il romanzo, del dolore e dell’empatia che lo abitano visceralmente e che lo allontanano dai luoghi comuni, così rischiosi in una storia con questi contorni.

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Ho letto il libro in due momenti diversi, a distanza di pochi giorni. A diecimila metri d’altezza, sugli aerei di un viaggio di lavoro. La prima metà, una lettura spedita, nel volo di andata, e la seconda metà, più lenta per non lasciar andare Giulia così presto, al ritorno. Nel mezzo “Lealtà” è rimasto chiuso in un trolley e Giulia si è acquattata tra le pagine evitando di disturbare il mio necessario riposo di quei giorni. Giulia mi era già entrata sottopelle: era inevitabile che volessi saperne di più. Dei suoi pensieri, dei suoi gusti musicali, di quello che nel libro non si racconta o che non si sa di lei.

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Un libro fortunato che, dopo aver fatto il suo primo percorso in Italia, ha ora preso la strada delle traduzioni: già uscito in lingua portoghese (quella di Pessoa, una passione che ho in comune con Letizia), a breve vedrà la stampa anche nella versione olandese. “Poi ci sarà un’edizione francese – aggiunge l’autrice, all’inizio della nostra lunga telefonata – e altre, ma non vado oltre, mi gusto le traduzioni una per una, assaporando la bellezza delle parole di ogni singola lingua”. Non lo diciamo troppo forte, ma “Lealtà” potrebbe prendere anche la strada del grande schermo. In ogni caso, non chiedete a Letizia quale attrice preferirebbe per la parte di Giulia, perché questa domanda la lascia pietrificata. Fosse per me, la assegnerei proprio a lei. Una ragazza alta, con lunghi capelli castani e uno sguardo diviso a metà tra l’essere a fuoco e l’indugiare; o almeno questo è ciò la mia immaginazione ha ricamato durante la lettura.

Sarà una conversazione intensa quella con Letizia Pezzali, qui riporto solo alcuni scampoli. Letizia ama la parola, chiacchiera e divaga. E’ bello ascoltarla mentre insegue i suoi pensieri, che spiega con molta precisione. Contenderle lo spazio per farle almeno una domanda. Chissà che a qualcun altro non venga voglia di indagare ulteriormente nella vita di Giulia. Posso dirvi che l’autrice, pur non sapendo proprio tutto di lei, ne parla volentieri, e si coglie che la conosce molto, molto bene.

Omaggiando la rubrica che ospita i miei articoli, comincio con un aggancio alla musica rock. Che sta messa sempre più male, come la fruizione di letteratura e la poesia, che sembrano relegate a una nicchia. Le chiedo come se la passa invece l’ambiente della finanza londinese. “È un mondo che non frequento da tempo – mi dice Letizia –. Posso però raccontarti una storia vera, di qualche giorno fa, che ho letto sul giornale. Un ragazzo arrivato dalla Libia, come rifugiato, insieme alla sua famiglia, si è laureato in ingegneria aerospaziale a Londra. Dopo la laurea si è piazzato fuori dalla fermata della metropolitana di Canary Wharf (il centro finanziario londinese) con un cartello: ‘Sono un ex rifugiato laureato in ingegneria aerospaziale e cerco lavoro’. L’ha trovato”.

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La Brexit è un’ossessione che affiora subito nel libro, quasi un’angoscia: a quali canzoni Giulia potrebbe associare questi sentimenti?

Canzoni che contengano qualcosa di epico, anche per contrasto. Mentre scrivevo ascoltavo spesso “Images and Words”, un vecchio album dei Dream Theater. Uscito nel 1992, l’ho scoperto nel ‘94, a 15 anni. Mi capita di recuperare musica che ascoltavo in passato, quando scrivo. L’album contiene “Learning to live”, in qualche modo si adatta a riflessioni sulla trasformazione e sull’angoscia di sentirsi schiacciati dall’esterno. “Through nature’s inflexible grace I’m learning to live”. Ma anche “Show me kindness, show me beauty, show me truth”. Nel libro non lo scrivo ma so che la mia protagonista, Giulia, ascolta “Learning to live”.

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Nel romanzo trovo più di un nesso tra l’andamento instabile dei mercati finanziari e la passione di Giulia per Michele. Mi sono chiesto se possa esistere un profilo di rischio in cui ci si può collocare a priori per evitare perdite negli investimenti amorosi…

Il dolore emotivo ha diversi livelli di intensità, entro certi limiti è inevitabile. A volte però lo cerchiamo o non facciamo nulla per liberarcene. Specialmente nei momenti di vuoto ricaviamo una sensazione di pienezza esistenziale maggiore accarezzando periodi di dolore e di irrazionalità, causati sia dall’esterno sia da noi. In amore mi pare succeda. Anche se conosciamo i modi per limitare la sofferenza sentimentale, e per modi intendo le semplici regole del buon senso che da una certa età in poi abbiamo sentito almeno nominare, a volte il percorso che facciamo ci porta comunque a prediligere un certo grado di afflizione. Credo sia un problema legato alla ricerca di vitalità: la sensazione di dinamismo che troviamo nel caos emotivo, in qualsiasi tipo di caos. Il buon senso ci appare semplicemente orribile in questi casi, comportarsi in modo razionale ci sembra simile ad accettare la morte. Sopra ogni cosa aleggia un filo di speranza, sempre, anche del tutto immotivata. Come sui mercati, è difficile tagliare le perdite.

La protagonista ha pochissimo tempo libero oltre al lavoro; se consideriamo il significato del tempo in economia, cioè qualcosa che faccia crescere le proprie risorse, anche la relazione con Michele si esprime come una “perdita di tempo”. Le rimane qualcosa per coltivare altre passioni (libri, film, musica…)?

Temo le resti pochissimo tempo. Giulia sicuramente legge volentieri, è molto affezionata alla parola scritta, ma non riesce a scegliersi i libri come vorrebbe, credo sia una lettrice insoddisfatta. Ascolta musica ogni mattina quando va al lavoro, come fanno tante persone, in metropolitana, in tal caso la musica è una coperta di Linus, la aiuta a prendersi cura di sé per pochi minuti. Nel fine settimana guarda qualche film sul portatile. Di rado va al cinema. Non ha una televisione.

Tu che la conosci bene, come riesce a tenere a bada la schizofrenia di una vita vissuta nello slancio di una passione amorosa così viscerale in un ambiente di lavoro molto cinico e formale, quello della finanza, capace di risucchiarti nei suoi meccanismi?

Ci riesce con un’autodisciplina che inevitabilmente la ferisce in profondità.

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Lealtà e mercato: come si concilia oggi, a tuo parere, questo rapporto nell’ambiente artistico? Intendo per uno scrittore, per un artista, musicista, regista…

Oggi va molto di moda parlare di mercato quando si parla di arte; il mercato è un tema che non desta più alcuna preoccupazione, se non in qualche vago proclama ideologico che però non ha alcun impatto sulla realtà. Questo è un problema: il fatto che non esista una critica al mercato davvero interessante, diffusa fra la gente comune e aggiornata è un problema. Siamo anche molto ignoranti. Abbracciamo meccanismi senza comprenderli, con disinvoltura. Un po’ come abbiamo abbracciato la filosofia dei social e dell’algoritmo, senza capirne fino in fondo il funzionamento e le implicazioni. Nel mio romanzo dico che i social sono una forma di mercato. E personalmente sono molto preoccupata al cospetto di tutta questa disinvoltura, in generale ma anche nell’arte. Un artista non può occuparsi del mercato, primo perché non è un buon uso del suo tempo mentale, sempre limitato, secondo perché tanto tutti gli altri intorno se ne occuperanno prima o poi.

Quale rating possiamo dare alla relazione tra Giulia e Michele?

Se per rating intendiamo la valutazione del credito, cioè una valutazione del rischio, direi che in questo caso purtroppo il rating non è eccezionale. Troppa incertezza. Non è facile trovare investitori disposti a investire nel bond Giulia&Michele, anche se naturalmente la giusta remunerazione potrebbe creare un mercato adatto. La forza del mercato in fondo è questa. È capace di autogenerarsi anche là dove non dovrebbe.

Michele, citando il poeta Seamus Heaney, chiede a Giulia: “Se parlerai di noi, fallo con lealtà”. Cosa fa Giulia per nutrire questa lealtà che poi è la perfetta sintesi del libro e che, quasi inevitabilmente, ne è diventata anche il titolo?

Giulia ha vissuto una storia ossessiva con Michele, è cresciuta, non è guarita ma sicuramente ha curato molte ferite. Ora potrebbe rifiutare il proprio passato ossessivo, rimuovere, archiviare. Invece ripercorre gli eventi con compassione. Accettare il proprio passato è una forma di lealtà verso se stessi. Non solo: accettare quello che siamo stati è il primo passo per accettare gli altri.

Seamus Heaney è anche il nome che hai dato al capo di Giulia, il quale, rievocando il ricordo di Michele, riaccende a distanza di vent’anni la passione che Giulia era riuscita faticosamente a silenziare. Rimanendo nella metafora, in che modo una voce poetica – ad esempio Heaney nel senso del poeta – è oggi in grado di riportare le passioni al centro della vita di un essere umano?

Citerò una frase di Wallace Stevens. “La poesia è una violenza interna che si oppone a una violenza esterna”. È l’immaginazione che preme contro la realtà, e la materia di cui sono fatte le passioni è proprio l’immaginazione. Mi sembra sufficiente per affermare che la poesia può fare molto per noi, in teoria. In pratica non può fare nulla: siamo noi che dobbiamo prenderla e leggerla. È richiesta la nostra collaborazione. Non esiste un cavetto che possiamo attaccare al nostro cervello per scaricarci poesia.

Giulia e Michele appartengono a due diverse generazioni. Michele è nato negli anni in cui la musica si ascoltava in vinile, Giulia ha passato probabilmente l’adolescenza a scaricare canzoni da internet: cosa ha perso o cosa ha guadagnato la generazione di Giulia nella fruizione di musica, letteratura, cinema attraverso questi piccoli e tremendi aggeggi?

Grazie agli aggeggi tutti noi abbiamo guadagnato l’accesso a qualsiasi contenuto in pochi secondi. Però abbiamo perso la capacità di dedicarci completamente a quello che stiamo facendo in un certo momento. L’infinita disponibilità di contenuti è una risorsa ma è anche fonte di distrazione. Saltiamo da un tema all’altro. Maturiamo una sindrome da deficit di attenzione. Non che in passato fossimo sempre perfettamente concentrati e attenti a tutto, però se ci distraevamo tendevamo a riempire gli spazi con un senso di noia. Per un artista, ma direi per qualsiasi essere umano che voglia curare la propria sensibilità, la noia è fondamentale. Il vuoto. Oggi la noia è sostituita dall’ansia, perché quando si crea uno spazio vuoto cerchiamo subito di riempirlo, con foga, e ci riusciamo anche, avendo i mezzi cioè la tecnologia per farlo. Naturalmente l’ansia può dare una sensazione di noia, dopo un po’. Ma la noia che deriva dall’ansia ha una qualità diversa rispetto alla noia che deriva dagli spazi vuoti. È più simile ai postumi di un’indigestione.

Com’è l’amore ai tempi dei social, tra spunte blu, chat, paranoie e confusione tra reale e virtuale?

Come sopra: molta ansia. Scorpacciata emotiva. Indigestione.

Ci siamo abituati a considerare la memoria come la capacità di un hard disk di contenere il maggior numero di informazioni possibili. Che rapporto ha Giulia col tema della sua memoria?

Un rapporto delicato e sofferto. Il padre mai conosciuto e ricostruito attraverso la mitologia proposta dalla madre; la madre a sua volta scomparsa di recente e vissuta attraverso scampoli di dialogo e piccoli oggetti; il ricordo di Michele e il desiderio conseguente di ritrovarlo. Tutto questo non ha molto a che vedere con la capacità di un hard disk di contenere informazioni. L’essere umano dimentica il passato per proteggersi, la sua dimenticanza dura per un po’, talvolta per sempre, un giorno però magari ricorda e allora prova dolore: perché il ricordo è doloroso oppure perché è dolce ma lontanissimo. Il dolore non è una cosa bella, naturalmente, però è universale, appartiene a tutti, è immediatamente riconoscibile, può farci entrare in sintonia con gli altri. È alla base dell’empatia.

Nel libro, in due diversi momenti, c’è la descrizione di questo brano di Satie, “Vessazioni” e della sua genesi allucinante. Le tematiche che legano passione e frustrazione, all’origine della genesi del brano, hanno a che fare con le sensazioni che prova la protagonista durante la sua vicenda passionale? Giulia suggerirebbe altri riferimenti musicali?

Vessazioni è un brano famoso principalmente perché Satie chiede a chi lo eseguirà di ripeterlo 840 volte, generando così un concerto costituito da ore di musica ripetuta. Una follia. In questo senso ha sicuramente a che fare con l’ossessione. Un altro riferimento musicale di Giulia in tema di passione e frustrazione può essere il brano di Esbjörn Svensson Trio intitolato “Did they ever tell Cousteau”. Ma anche tutto l’album dal quale il brano proviene, “Seven days of falling”. Un titolo peraltro molto evocativo.

Ci suggerisci una o più canzoni o poesie che sono riuscite molto bene a coniugare il senso del rispetto e della lealtà all’interno di una relazione d’amore clandestina?

Purtroppo mi vengono in mente solo canzoni o poesie che parlano di amori clandestini vissuti male, in cui la lealtà è più che altro la capacità di mantenere un segreto. “Hands Clean” di Alanis Morissette è una canzone che citerei, anche per ragioni generazionali: “I have honoured your request for silence”, dice il ritornello. La canzone racconta la storia di un amore segreto, sono in gioco dinamiche legate a una forte differenza di età e dinamiche di potere. In poesia la prima cosa che mi viene in mente in questo momento è un testo di Sam Riviere, un poeta inglese contemporaneo, nato nel 1981. Si intitola “No touching”, è molto misterioso, la voce narrante dice “Ti chiederei di non raccontare di noi a nessuno”, ma poi si lascia prendere dalla fantasia e sogna di apparire con la persona amata ai “matrimoni di gente di cui non ci importa, i nostri volti splendenti per il sesso”.