Un caso asinino

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Mi piacciono tanto gli asini blu. Ma mi pongono problemi, sollevano questioni, acuiscono allo spasmo la mia naturale curiosità per il mondo animale e, per connessione, quella per l’uomo. La cosa più ovvia è interrogarsi sull’origine del loro manto, se sia cioè frutto di pazienti e laboriosi incroci d’allevamento, oppure sia caratteristico di una varietà di asini molto rara ma più nobile e antica, oppure ancora se si tratti della trovata di ciarlatani che non si fanno scrupoli di pitturarli in occasione delle fiere. Da qui alla riflessione sulla specie umana il passo è breve. Passo in rassegna questioni di bioetica, di sociologia e storia, di marketing, di deontologia professionale.

   Mia moglie li detesta. Per quel suo radicatissimo ed eccessivo senso del concreto e dell’univoco, non sopporta queste creature miti e inquietanti, inconfondibili ed ambigue, umili e ricchissime di senso. Più volte sono stato oggetto di derisione per la passione che nutro verso di loro e abbiamo sfiorato il divorzio quando ho espresso il desiderio di acquistarne uno.

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   Ma in un momento d’intimità amorosa, al culmine del piacere, lei ha preso a ripetere con insistenza una specie di nenia singhiozzante e teneramente oscena, fatta di parole pronunciate alla rovescia, quasi per negarle nel momento stesso in cui le articolava, ma che io non ho avuto difficoltà a decifrare. Fra i vocaboli più frequenti c’erano proprio “asino” e “blu”. Sono stato felice perché erano il segno, la testimonianza superficiale della profonda e notturna intesa che unisce i nostri cuori.