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Un caso di mondiali di calcio
Un caso di mondiali di calcio
Andare a vedere i mondiali di calcio, la finalissima in Amazzonia: Italia contro non so bene chi. Sono con una comitiva, una gita organizzata. A un certo punto si tratta di attraversare la giungla e non c’è neanche la possibilità di guardare la partita in tv. C’è tantissima gente che parte come noi alla ventura nella giungla, quindi il problema è anche non perdere il contatto con il proprio gruppo.
Quasi subito dopo la partenza, la comitiva si allunga molto, si disperde e devo prendere una decisione: continuare lungo il sentiero che sto percorrendo con altri – è un sentiero piuttosto in altura, diciamo in collina – oppure scendere lungo il pendio – sempre in mezzo alla giungla – perché laggiù in fondo mi pare di intravedere la nostra guida. Dappertutto c’è il problema dei serpenti, li vedo sugli alberi, viscidi, pericolosi, potenzialmente mortali; ma non c’è alternativa, anche tornare indietro vorrebbe dire trovarsi comunque a fare un cammino a rischio di rettili, con l’aggravante che sarei solo.
Allora mi butto giù per il pendio, cerco di stare attento a dove metto i piedi. Mi ritrovo in una forra dove c’è un corso d’acqua, altre persone sono con me, ma sono incerte sul da farsi. Vedo solo una soluzione, mi getto a nuoto nell’acqua, io che quasi non so nuotare, e invece me la cavo, sono capace di stare a galla e di andare spedito, anzi, è questa la condizione necessaria: se mi muovo veloce, rimango a galla. In breve supero tutti quelli che sono nell’acqua e raggiungo il capo della comitiva.
Il primo tempo della partita è irrimediabilmente finito, c’è ancora la speranza di poter vedere il secondo. Ma ormai è come essere passati in una dimensione di limbo, con un senso molto acuto di essere vicini alla fine di tutto, alla fine del mondo, a un giudizio definitivo. Provo sgomento, una malinconia feroce, un dispiacere fortissimo perché non voglio morire. C’è come uno sfondo cosmico, buio, punteggiato di stelle. Passa un corteo come di ballerine brasiliane al carnevale di Rio. Alcuni della mia compagnia si avvicinano al corteo e abbracciano le ballerine, che ormai sono diventati uomini, neanche vestiti da ballo, ma semmai in un modo che mi ricordano dei giocatori di calcio. Loro si fanno abbracciare come gesto di benevolenza verso i tifosi. C’è anche F., una mia collega di lavoro che si aggira un po’ sperduta, seguendo la comitiva che, in realtà, non sa più dove andare. Facciamo dei tentativi a caso, ma siamo veramente smarriti in un clima di tristezza, di certezza della fine.
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