Approfondimenti
«Per vincere l’estremo sospiro»: le poesie di Elizabeth Siddal II
«Per vincere l’estremo sospiro»: le poesie di Elizabeth Siddal.
di Lorenzo Gafforini
«Il dolore scomparire come cosa confutata,
Morte consumarsi come cosa oscena.
Metà eguali di un cuore perfetto, un’anima
Stretta all’altra dinanzi al cadere degli anni;
Se tu una volta mi avessi amato, e non hai amato;
Se la sorte fosse stata buona con noi, e non lo è stata.»
A.C. Swinburne, Il trionfo del tempo
Quattordici componimenti e un frammento.
Oggi si ha accortezza di soli quattrodici componimenti dell’autrice e un quindicesimo che costituisce in realtà un frammento. Le poesie così presentate vennero pubblicate per la prima volta alla fine dell’Ottocento grazie a William Michael Rossetti, poeta e fratello del pittore. Gli originali sono conservati all’Ashmolean Museum di Oxford e solo la poesia True Love – contenuta ovviamente nel volume della Damocle Edizioni – è provvista di titolo e delle iniziali dell’autrice: E.E.R.. In particolare la lettera R corrisponde a Rossetti; infatti, nel 1860 Elizabeth Siddal sposa Dante Gabriele Rossetti. Tuttavia, la loro relazione sarà dettata sì da un amore profondo, ma anche da accessi e incessanti diverbi. I componimenti della Siddal sono contraddistinti da una forte malinconia e quasi da un concetto di predestinazione cupo e infelice. La scrittura viene vissuta come un mezzo sia per contemplare la morte sia per rifuggirla. Il binomio amore-morte ripercorre l’intera raccolta e raramente lascia intravedere spiragli di speranza. In effetti la Siddal rimane incinta di Rossetti nel 1861, ma purtroppo la bambina prematura nasce morta. Nel frattempo Rossetti frequenta altre donne, fra cui l’amante Jane Morris che riuscì a partorire una bambina sana. La notizia gettò la Siddal nel più profondo sconforto. Già assuefatta al laudano per alleviare i dolori dati dalla salute cagionevole, Siddal l’11 febbraio 1862 decide consapevolmente di assumerne una grande quantitativo. Nonostante i tentativi di Rossetti e degli amici di salvarla, la donna muore la stessa notte a soli trentadue anni. Proprio il tema della dipartita in giovane età – come un nefasto presagio – ricorre spesso nei suoi componimenti. Proprio in Morte prematura l’autrice scrive: «Allora siedi accanto a me / e guarda la mia giovane vita dissolversi / poi la solenne pace della santa morte / giunga rapidamente a te».
«La mia vita terrena è triste e silenziosa».
Caratterizzate da un frequente uso della rima, le poesie hanno una certa sonorità che le rendono particolarmente scorrevoli. Nonostante errori riscontrati dai critici – dettati inevitabilmente dalla formazione dell’autrice –, si è sempre evidenziato come Siddal fosse riuscita a crearsi una voce poetica unica. Fra i vari componimenti basti solo pensare a Sfinita, in cui la poetessa riconosce la propria afflizione. L’incapacità di separarsi da un amore doloroso e allo stesso tempo il timore di non riuscire a viverne senza. Croce e delizia: la poesia della Siddal è un canto indirizzato verso qualcosa che non c’è più e non può ritornare. «Tieni ancora le tue braccia intorno a me, amore, / fino a quando mi addormenterò; / poi lasciami senza salutarmi / affinché io non mi svegli e pianga». A Rossetti sono senz’altro rivolti pensieri ricolmi tanto di tenerezza quanto di malinconia; tuttavia, Siddal non risparmia parole di risentimento dettate da una profonda sofferenza. Nonostante non vi sia un richiamo espresso al marito, si può dedurre che i versi di Amore e odio possano essere indirizzati a lui: «Volgi altrove i tuoi bugiardi occhi cupi, / e non posarli sul mio viso; / immenso amore ti diedi vita: ora l’immenso odio / s’insidia crudelmente al suo posto. // Tutti i cambiamenti mi attraversano come in sogno, / non canto né prego; / e tu sei come l’albero avvelenato / che mi strappò via la vita». Con una certa vocazione religiosa, inoltre, le sue liriche riprendono spesso immagini bibliche o comunque tratte dai libri sacri per rielaborare e comprendere il proprio dolore terreno. Il Signore viene spesso interpellato come ascoltatore e custode prediletto delle sventure dell’autrice. La sua è una supplica, un riporre la propria fiducia nelle mani di Dio: «La mia vita terrena è triste e silenziosa / come gigli in un ruscello ghiacciato; / mi protendo verso il sole, / Signore, Signore, ricordandomi colui che ho perduto. / O Signore, ricordati di me! / Com’è nella terra ignota?». In lei percepiamo un certo gusto per il bucolico in ossequio all’analisi del proprio essere. È come se Siddal volesse parlare con la sua anima, il suo Io recondito, in una sorta di monologo-dialogo con la realtà dei fatti. Il risultato è un canto struggente, suggestivo e soprattutto pieno di angoscia. La redenzione non è contemplata, proprio perché è già insita in chi ha amato in maniera completa e sincera.
L’epilogo e la rinascita.
Alla morte della Siddal, Rossetti decise di seppellire con lei le poesie che le aveva dedicato. Solo nel 1869 il pittore – dietro le forti pressioni del suo agente – acconsentì all’apertura della tomba della moglie per recuperare l’unico manoscritto. Vennero da lì a poco pubblicate destando un certo sdegno nei confronti della critica per certe tematiche trattate, soprattutto a sfondo erotico. Anche dopo la sua morte, la figura della Siddal sarà costantemente presente nelle opere di Rossetti. Celeberrimo il dipinto Beata Beatrix, in cui l’artista raffigura l’amata nelle vesti della Beatrice dantesca. Un colombo posa nelle mani della donna un papavero, il fiore da cui si estrae il laudano. Il laudano con cui tenterà il suicidio lo stesso Rossetti dieci anni dopo la morte della moglie. Come anticipato, invece, i componimenti della Siddal videro la stampa solo alla fine del secolo. Oggi, grazie a questa coraggiosa impresa editoriale, possiamo riscoprire l’importanza di una donna che ha rappresentato un movimento artistico. Elizabeth Eleanor Siddal non è solo Beatrice o Ofelia, bensì un’artista completa che, purtroppo, non è riuscita a manifestare totalmente il proprio talento. Oggi possiamo godere delle sue produzioni, riconoscendone una sensibilità inusuale e profonda: «O cielo aiuta il mio sciocco cuore / che non si è reso conto dello scorrere del tempo / che ha divelto il mio idolo dal suo posto / e ha infranto il suo sacrario».
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