Yves Bonnefoy

Yves Bonnefoy, poeta, traduttore, saggista e storico dell’arte francese, nasce a Tours il 24 giugno 1923. Dopo gli studi di filosofia (alla Sorbona e con Bachelard) si avvicina criticamente al Surrealismo e sotto la sua influenza pubblica il primo lavoro, « Trattato sul pianista » (1946). Insegna a lungo presso il Collège de France. E’ autore di molti libri di poesia e opere saggistiche tra cui tradotti in italiano troviamo : « Movimento e immobilità di Douve »(1969), « Nell’insidia della soglia » (1990 », « Racconti in sogno »(1992), « L’uva di Zeusi » (1997), « L’acqua che fugge. Poesie scelte » (1998), « La vita errante » (1999), « Quel che fu senza luce/Inizio e fine della neve »(2001), La pioggia d’estate » (2001), « Seguendo un fuoco. Poesie scelte 1953-2001 » (2003), « Ieri deserto regnante/Pietra scritta » (2005), « Le assi curve » (2007), « Il grande spazio » (2008), « L’opera poetica » (2010).
E’ curatore di un importante « Dizionario delle mitologie e delle religioni » (1989).

Il vento, la finestra vicina, la valle, il cielo,
La magnifica rapidità di queste nuvole.
L’artiglio della pioggia sul vetro, all’improvviso,
Come se il nulla siglasse il mondo.[1]

Non è detto che il mito rinvenuto altrove abbia la stessa portata rappresentativa del mito conosciuto. Potrebbe utilizzare spazi di significanza esigui e testimoniare la limitatezza di una superficie « eternamente incompletabile ». Scopriremmo allora, nel darci questa possibilità di sospensione, una cosa diversa dalla ricerca tutta scolpita dei nomi di Dio, così esausta e cicatrizzante. La poesia leggerebbe le cose in questo modo, senza parole guida unificanti ma con uno sguardo disposto al fuori che fa. Potrebbe nevicare.

E’ l’alba. E questa lampada ha comunque terminato
Così il suo compito di speranza, mano posta
Nello specchio appannata sulla febbre
Di colui che vegliava, non sapendo morire?
Vero è che egli non l’ha spenta.
Essa arde per lui, malgrado il cielo.
Gabbiani gridano l’anima ai tuoi vetri brinati,
O dormiente dei mattini, barca d’un altro fiume.[2]

Ma anche se non nevica fuori farà qualcosa che non è mai stato raccontato. Ad ogni bivio viene da chiedersi come sarebbe stata l’altra strada, e ci sembra di aver perso qualcosa, che questa cosa è stata persa davvero. La costruzione della presenza della strada perduta non ce la restituisce ma ci costringe a provare (sentire) il bivio, le semplicità di raccordo e di separazione. Qui, se dovessimo parlare di verità, e Bonnefoy lo fa, diremmo di questa : con la poesia si arriva alla terra, che è un essere grave leggero già stato inutilmente (ed è un inutilmente ontologico, mica altro)  mal recintato.

Nevica, è ritornare a una città
Dove, e lo scopro camminando
A caso per le strade deserte,
Avrei vissuto felice un’altra infanzia.
Tra i fiocchi si profilano facciate
Di una bellezza quanta nient’altra al mondo.
Soli tra noi Alberti poi Sangallo
A San Biagio, nella stanza più intensa
Che abbia costruito il desidero, hanno sfiorato
Questa perfezione, questa assenza.[3]

(« L’unico scritto gnostico che parli dell’itinerario mitico percorso da Eros – il papiro copto di Nag Hammadi, II/5, p.109, 1-111, 28) conserva quanto attiene alla genealogia e alla funzione del dio. Eros è figlio di Pronoia, la paredra di Ialdabaoth il demiurgo.Vedendo la bellezza dell’angelo della luce , chiamato ancora Adamo Primordiale o Adamo-Luce, creatura sorta dallo splendore dell’Ogdoade, cioè dal Padre principio di tutte le cose, Pronoia è presa dall’ardente desiderio di unirsi a lui. Ma l’angelo si rifiuta, ed essa stessa è troppo appesantita dal proprio elemento tenebroso per potersi elevare fino a lui. Ella strappa allora all’angelo alcune particelle luminose, che mescola al proprio sangue, e che diffonde poi sulla terra. » M. Tardieu)
 

[1], [2], [3] sono brani tratti da « Quel che fu senza luce/ Inizio e fine della neve », Einaudi 2001.
Il testo del video è tratto da « I nomi divini », Anterem n.65 [Il perturbante], pag.29.

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