Interviste
INTERVISTA AD ANGELO ORLANDO
a cura di Marta Lìmoli
Angelo Orlando.
“Pare chillo ca sona”…. il ragazzino capelluto così in gioventù descritto dal padre, adesso – da tempo – vive e lavora a Barcellona.
Scelta dovuta a cosa?
Al desiderio di rinnovare l’entusiasmo. È il richiamo dell’altrove dove rinnovare le energie creative che a volte entrano in circoli viziosi.
I tuoi trascorsi da cittadino ed artista partenopeo hanno ancora/sempre una valenza determinante nel tuo personale modo di agire, in questa nuova realtà?
Sono figlio di un Sud che ha in sé l’energia che porta verso una ricerca interiore ed esteriore. Sempre. La realtà di alcuni posti che abbiamo incontrato, a volte è molto simile a cose e sensazioni che trovavo girando nei vicoli della mia infanzia. Credo che un artista arrivi molto spesso a un punto in cui si sente perduto e in questo smarrimento, incrocia parti di sé che gli stimolano qualcosa che ha a che fare col ricordo. Cerchiamo tutta la vita di ritornare a questi incroci col tempo. Cerchiamo tutta la vita di ritrovare quell’entusiasmo che avevamo da bambini. E allora Barcellona può essere Roma o Parigi o New York. L’importante è recuperare dentro di sé queste cose straordinarie. Se lo fai restando sempre nello stesso posto, va bene. Altrimenti, devi spostarti per creare distanza da te stesso. Per poi osservare meglio te e la realtà che ti circonda. Un artista ha questo dovere.
“MAGIC MOMENTS”. – “Ok… vi faremo sapere”
Alcuni tuoi film, li ricordo sempre con particolare piacere ed interesse; quale orientamento stanno prendendo i tuoi progetti professionali? Rivolgi la tua attenzione a quali problematiche, sogni, realtà che si piace raccontare con tocchi surreali? Insomma, le tue fonti d’ispirazione?
Sono sempre stato attratto dal surreale. Se ci pensi bene, tutto può essere surreale. Alcune notti mi sveglio e ascolto il mio cuore. Mi dico: “Che miracolo è questo battito che mi tiene ancora in questa realtà!” Ed è così. Questa è una delle cose più surreali della mia vita. La percezione di un’altra dimensione che ci scorre affianco legata strettamente al battito del nostro cuore. Quasi una vita parallela che non è la tua ma è sempre la tua. Mi piacciono le storie che aprono uno squarcio nella vita delle persone che riescono a raccogliere il profumo dell’invisibile.
Quale “tipo” di pubblico è il referente delle storie che proponi?
Non ho mie storie. Le storie che racconto non le sento mie. Sento che sono una specie di radar che capta storie che esistono già da qualche parte. Storie di tutti. E anche se qualche volta c’è un salto nel metafisico e nel surreale, mi piace pensare che il pubblico che le accoglie, è fatto di persone che le sentono profondamente, quasi come se provenissero da se stesse.
Set Film “Pensavo fosse amore… invece era un calesse” ANNO 1991.
La linea politica che accompagna il pensiero di un italiano all’estero, in particolare dedito alle arti e lo spettacolo, si riesce ad esprimere e tradurre concretamente in quel che si fa?
Non lo so. Io credo che non si possa generalizzare questa cosa. Penso che lasciare per un periodo o per tutta la vita il proprio paese d’origine ti debba dare la forza per abbandonare alcuni cliché che inconsciamente cerchi di riproporre sempre. Perciò non si può parlare di linea politica, ma di un pensiero più morbido da plasmare e da educare pian piano alle novità. Lasciare che le novità di cui il mondo è pieno, entrino poco alla volta dentro di te, trasformando giorno per giorno il tuo essere. Educandolo a rinnovarsi e generare nuove e insospettabili energie. In parole povere: se non sperimenti cose nuove, ti capiteranno sempre le stesse cose.
Stai constatando che operare in una società non italiana possa avere un’efficacia maggiore dal punto di vista intellettuale e sicuramente più produttiva sotto l’aspetto dell’indotto?
“Perchè ti stupisci che i tuoi viaggi non ti giovano? Vai in giro con te stesso, dunque ti porti dietro il motivo che ti ha fatto fuggire.” È un aforisma di Seneca. Sono d’accordo sul fatto che non è un fatto d’efficacia maggiore. Da qualsiasi punto di vista, quello che importa è come sei tu rispetto al nuovo e al vecchio. Già pensare e parlare in una lingua diversa dalla tua genera emozioni e sensazioni diverse. Ma tu sei sempre tu. Chi sei oggi lo devi a chi eri ieri. È come se l’esterno si integrasse al tuo interno. E allora ti accorgi che il movimento ha creato in te quell’energia necessaria per non ripetere gli stessi errori. Magari farne degli altri, ma non sempre gli stessi. E essere in un paese straniero ben presto è una sensazione che scompare. Perché non esistono confini o limiti da superare se hai le radici ben piantati in ciò che stai imparando a conoscere, cioè te stesso.
La crisi del settore artistico: come viene affrontata o ovviata nella comunità che ti accoglie?
Ci sono molte possibilità nell’arte. Ogni periodo ha la sua crisi. La Catalunya ha pagato a caro prezzo la propria identità. È una società nuova e una comunità che ha desiderio di crescere. C’è un desiderio quasi mistico di accogliere e riconoscersi nell’arte.
FOTO set – gruppo – “IL SOLDATO IGNOTO” di Marcello Aliprandi – 1993-
Riscontri più coesione fra colleghi, persone appartenenti allo stesso settore?
No. Anche in Italia ho riscontrato molta coesione e complicità tra colleghi. Quello che penso è che forse, ci sia molta più curiosità e rispetto per ogni forma artistica.
Con chi ti confronti, quali sono le forze creative che ti interessano e sono per te stimolo per creare?
Senza dubbio il cinema. Il rapporto e il confronto con il cinema europeo. La vita di ogni giorno è lo spunto ideale per generare e trovare il contatto giusto con quella scintilla che è l’intuizione che poi svanisce e poi ritorna. Quella sensazione di aver aperto un’altra possibilità d’incontrare l’ispirazione si nasconde dentro e fuori di te. È un attimo e sei attraversato da un sogno e sai che questo sogno s’incarnerà in un progetto. Sta a te fare in modo di farlo nascere. Un artista è, in un certo senso, un grande traghettatore che naviga sul mare infinito della creatività.
Barcellona non fa sentire poi così distanti dall’Italia, come potrebbe succedere vivendo a Vancouver oppure a Mosca. Ci si sente protetti, più liberi, piccole entità… più forti..? Comunque cittadini del mondo?
Barcellona è a un’ora di aereo da Roma e da Milano. Ho amici che adesso che vivo fuori dall’Italia, vedo molto di più perché a Barcellona prima o poi ci passi, mentre è più difficile prendere i mezzi pubblici e dal Quadraro andare a Trastevere. La libertà più bella però, in cui ti puoi imbattere, è quella che s’incontra dentro di sé. In quel momento ti accorgi che puoi essere in qualsiasi posto del mondo e questa libertà nessuno mai te la potrà togliere. Non sei cittadino del mondo, ma figlio di un mondo nuovo. Un mondo che crei tu personalmente. In questo, qualsiasi uomo che ha la capacità di trasformare il suo mondo è un artista.
“ALBA SUI TETTI DELLA LUNA. LEZIONI DI VOLO” 1989.
Cosa rende bello un progetto, cosa lo rende valido?
Affrontare il percorso con persone che sentono il progetto come te e hanno il tuo stesso obiettivo è la cosa più bella e rende il cammino una splendida occasione da cui uscire insieme legati e liberi. Legati dal filo invisibile che lega tutti gli esseri umani che scoprono la bellezza di completare insieme un’opera. Liberi perché chiunque senta insieme a te il bisogno e l’urgenza di realizzare un progetto, è come se entrasse in una dimensione più vasta, dove il legarsi l’un l’altro, significa fare un gruppo per guadagnarsi la libertà.
Il linguaggio artistico a te più affine lo potresti presentare/definire, in qualche modo?
Il cinema. L’arte di raccontare storie per immagini.
Orlando scrive libri, scrive sceneggiature. Inventa. Offre. La scrittura è un veicolo eccezionale di manifestazione di sé e di espressione di mondi visibili e non visibili.
Trovi sia e rimanga una risorsa eterna, irrinunciabile?
Penso qui che bisogna precisare che inventare non significa creare. Chi inventa lo fa seguendo un filo visibile. Chi crea lo fa usando solo la propria immaginazione. L’equilibrio tra queste due enormi capacità dell’uomo è l’unica risorsa eterna e irrinunciabile.
Hai temuto in qualche occasione di non ritrovare più un giorno la libertà di continuare a rivolgerti alla scrittura per dire delle cose?
È una sensazione che ho spesso. La sensazione di una fragilità infinita. A volte, quando finisco di scrivere un articolo, una sceneggiatura, un racconto o una stesura teatrale, mi dico: “Come ho fatto?” Mi sembra un miracolo e che probabilmente non mi capiterà più. Poi il miracolo si rinnova. E questo forse è il segreto dei segreti. Che niente davvero finisce.
Grazie, Angelo Orlando.
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