Interviste
Dal nonno ciabattino a Mario Monicelli, intervista a Francesco Guzzo
a cura di Rosamaria Caputi
Francesco Guzzo nasce a Palermo nel 1969. Si diploma alla Scuola d’Arte Drammatica del Teatro Stabile di Catania, “Umberto Spadaro”.
Debutta al cinema nel 1991 nel film Ultimo Respiro, di Felice Farina. Nella prima metà degli anni Novanta lavora principalmente con lo Stabile etneo. Nel 1996 si trasferisce a Roma.
Al cinema lavora con registi come Roberto Benigni (La vita è bella, 1997), Gianni Amelio (Così Ridevano, 1997), fino ad arrivare a Mario Monicelli che nel 1998 gli offre la parte di protagonista nel film Panni Sporchi.
Torna al teatro con L’uomo, la bestia e la virtù di Pirandello, regia di Mario Morini (Teatro Stabile di Palermo, 1999). Il drago di Evgenij Schwarz e La sirenetta da Marguerita Yourcenar con la regia di Ezio Donato; Gli anni perduti da Vitaliano Brancati, regia di Walter Pagliaro.
Dal 2000 collabora con Tonino Cervi ne Il quaderno della spesa (2002), Paolo Benvenuti in Segreti di stato(2003), Dario Argento per Il cartaio (2004), Antonietta De Lillo ne Il resto di niente (2004).
All’estero con Il mandolino del capitano Corelli di John Madden (2000). I vestiti nuovi dell’imperatore di Alan Taylor (2000), Le valigie di Toulse Luper di Peter Greenaway (2003).
Fra i suoi ultimi lavori, Le rose del deserto (2006) ancora di Monicelli, Holy money (2008) di Maxime Alexandre, Baaria (2009) di Giuseppe Tornatore, e Christopher Roth (2010) di Max Sender, La macchina dei desideri (di G.Rappa, Teatro Eliseo – 2012), Il giudice meschino (2014) di Carlo Carlei.
D – Francesco, hai un tipo di sguardo malinconico, te lo avranno detto tanti registi, qual è il tuo ricordo più lontano, quanti anni avevi, che facevi?
R -Mia nonna sul letto di morte. Avevo due anni e mezzo. Siamo io, mia sorella, mia madre, mio padre e mio nonno. Mia nonna sta per morire. Mi prendono in braccio per darle l’ultimo bacio.
D -Ti fa paura morire?
R –Assolutamente sì, io vivo con il terrore della morte, non passa giorno che non ci pensi. Ho speso migliaia e migliaia di euro in controlli, visite e specialisti. E’ una lotta continua e impari. Finora, però, ho vinto io…sono ancora vivo.
D – Perché hai deciso di fare l’attore, lo hai deciso?
R -Non volevo lavorare e non volevo studiare, ero molto imbranato con le donne. Se fossi diventato famoso come attore mi sarei riscattato.
D- Ti sei sentito desiderato?
R -In passato mai, oggi totalmente.
D- La tua definizione di bellezza?
R –Credo che la bellezza sia sostanzialmente l’armonia delle forme.
D – Francesco, io so che vuoi che manteniamo un tenore –lo chiamiamo easy? – durante l’intervista, ma so anche che hai lavorato con grandissimi registi e qualche domanda te la farò. Credi nei Maestri, esistono?
R –Sì, esistono. Ho avuto un paio di figure a tutto tondo, anche se in realtà credo che in ognuno di noi si possa nascondere un piccolo maestro. Io ho imparato molto anche dagli sconosciuti, dalle persone che ritenevo stupide, dagli ignoranti, anche.
D – Fammi qualche nome.
R -Sicuramente tra i primi c’è Monicelli, in tutta la sua interezza, con il quale ho avuto il privilegio di lavorare più di una volta; e poi mio nonno paterno, ciabattino, uomo di saggezza monumentale.
D -Mi racconti la tua esperienza con Monicelli?
R -Meravigliosa. Anche se a volte faticavo, perché era molto rigoroso, un personaggio talmente al di sopra della media, un intellettuale, un artista, uno che ha fatto la storia del cinema, un uomo al quale non ho mai sentito pronunciare una banalità o una parola di troppo. Sul set era perfetto.
D – La cosa che non vorresti mai perdere?
R -La mia famiglia. Mia moglie e mia figlia mi hanno salvato dal totale non-senso in cui vivevo.
D -Dai un colore al non senso? Me lo spieghi?
R –Beh, insomma… l’incontro con mia moglie prima, e l’arrivo di mia figlia dopo, hanno reso concreta una parola di cui anche io avevo fatto abuso, e solo adesso ne percepisco il significato. La parola è – appunto – SENSO. Comincio a capire qual è il senso concreto della mia vita. Mia figlia.
D -Invece la cosa che hai perso?
R – Ho perso tantissimo tempo a guardare il soffitto, a non fare nulla, ad aspettare non so cosa.
D- Era bello perdere tempo? Mi racconti una cosa bella che ti è accaduta mentre perdevi tempo?
R -Proprio bello non era. Non ricordo cose belle, mentre perdevo tempo, il cervello fonde. Come scriveva Voltaire? “Lavoriamo senza ragionare: è l’unico modo che rende la vita tollerabile”. Bisogna coltivarlo, il nostro giardino.
D -Come lo coltivi? Quali sono i tuoi progetti futuri, pur considerando che progetti per un attore è parola grossa?
R -Adesso sono un po’ più disciplinato. Leggo, vado al cinema, ascolto musica, scrivo, faccio il famiglio (Importante non sudare). Per quanto riguarda i progetti futuri… spero che li abbiano gli altri. Io sono pronto ad eseguirli.
D- Cinema o teatro?
R -Scusami ma questa per me è una domanda senza senso. Mi piace Strehler o Orson Welles?
D- Riformulo la domanda, intendo tu ti preferisci sul set o sul palcoscenico?
R -Dove sto meglio? Dipende dal regista, dal film, dallo spettacolo. Sono stato malissimo e benissimo, sia sul set che sul palcoscenico.
D -Parlami del regista che ti ha sgamato di più?
R -Cosa intendi dire con SGAMATO?
D – Chi ti ha percepito? Chi ti ha visto i difetti che gli sarebbero serviti per lavorarci?
R -In questo sono sempre stato abbastanza fortunato. Tuttavia devo dirti che mi sono sentito particolarmente “sgamato” da Tornatore, Carlei, Monicelli e a teatro da Pagliaro. Anche da Ezio Donato, a suo tempo, a Catania.
D – In privato mi hai scritto che ami la poesia. Ne hai una che preferisci?
R – In questo momento, per ovvi motivi di neopaternità, direi l’Iliade, nel tratto in cui Ettore si toglie l’elmo per parlare col figlio. Per anni, però, mi sono identificato con “Gabbiani” di Cardarelli.
D – L’Iliade. I classici, la guerra o il mito?
R – Il mito greco contiene tutto quello che è venuto dopo.
D -Quando berremo insieme tu analcolico io alcolica, ti chiederò di recitarmene un pezzetto.
R -Abbi pazienza: non mi chiedere di recitare… non lo so fare. E poi quella lì non la so a memoria. In repertorio ho Montale, Ungaretti, Dante, D’Annunzio, Salinas, Neruda, ma non ancora Omero.
D – Hai sfidato qualcuno, qualcosa?
R -No. Sono un vigliacco.
D – Pensi il contrario, invece?
R -No
D – Te li ricordi i sogni che fai?
R -Scrivo su un quadernone ogni mattina il sogno che ho appena fatto. L’ultimo registrato è una chiacchiera con un’amica, le consiglio di essere paziente con il marito che non la comprende molto.
D – Esprimi un desiderio
R -Vincere al superenalotto
D – Quanto?
R -Sopra il milione di euro.
D -Che ci faresti?
R -Mi comprerei delle buone scarpe, in omaggio a mio nonno ciabattino.
D – Giochiamo al se fosse! Paradosso. Se tu fossi un’attrice, chi saresti?
R -Probabilmente un’attrice cagna. Se mi chiedi, invece, “chi avresti voluto essere?”, ce l’ho. Valentina Cortese. Insuperabile.
D -Se ti chiedo di farmi il nome di una cagna, me lo dici?
R -No. Potrebbe sempre capitarmi di lavorarci.
D -Dici molto no?
R -Non lo so.
D -Com’è messo il cinema italiano?
R -Come sempre. Ma a giudicare dalla quantità di film brutti che si fanno, direi male. Non è un Oscar che ti risolve il sistema.
D- Allusione all’ultimo?
R – A me “La Grande Bellezza” è piaciuto, anche se credo che il vero capolavoro di Sorrentino sia “Le conseguenze dell’amore”. Dico però che l’industria cinematografica si misura dalla quantità film brutti che produce, e non da quanti ne fa belli. Per quanto possa sembrare poco credibile, intorno al 1960, quando il cinema italiano conquistava il mondo, già Fellini, De Sica, Gassman, Cristaldi si interrogavano sulla crisi del cinema.
D –A questo punto devo farti un’altra domanda –mi prendo la responsabilità di essere una cinesterofila?-
Come è andata a te l’esperienza all’estero?
R –E’ un altro mondo. Lì capisci cosa vuol dire “metodo”, rispetto per il lavoro, a qualunque reparto tu appartenga, professionalità, umiltà. Non è una leggenda che John Hurt, Ian Holm, o Penelope Cruz facciano la fila per prendere il cestino; né è una leggenda che l’ultima comparsa del set abbia gli stessi diritti del primo attore. Non è facile spiegare quello che voglio dire, ma dovete fidarvi.
D – Chi è Francesco, tre aggettivi
R -Pigro, ipocondriaco, e corretto.
D -Domande a raffica: In che ruolo sei stato più bravo?
R -In nessuno.
D –Perché?
R -Sono ancora troppo acerbo
D -Il tuo autore teatrale?
R -Ultimamente sono fissato con il giardino dei ciliegi.
D- A chi assomigli?
R –Qualche volta mi hanno detto che ricordo Leopoldo Trieste, e la cosa mi piace moltissimo. E’ stato un attore e un intellettuale di altissimo livello.
D -A richiesta della Direttora di NiedernGasse, mi dici qualcosa su “La Sirenetta”?
R -Ti prego! Bellissimo periodo per me e ottimo ricordo della compagnia. Ecco, quello fu uno degli spettacoli in cui mi sono sentito totalmente accolto dal regista (Ezio Donato). Ero libero di esprimermi come e quanto volevo. E poi cominciavo anche ad avere una personalità più definita. Posso dire che, anche se avevo già 29 anni, fu il mio ultimo anno di adolescenza. Infatti: l’anno dopo entrai in analisi e mi venne il fuoco di Sant’Antonio. Sul serio.
D – Ci salutiamo con una domanda per soddisfare la mia curiosità adolescente. Ma Dario Argento?
R -Hai la percezione di stare davanti a un regista cult, molto più umano dei suoi film, e di complessa profondità. Ricordo una spiegazione bellissima del romanzo “Giro di vite”, in cui cercava di farci capire come l’arrivo di un bambino in una storia cambia tutto. Tuttavia, per quanto riguarda la mia personale partecipazione a quel film, sono sicuro che non abbia mai saputo il mio nome.
Rido, grazie Francesco.
(Estratti da “Panni sporchi”, “Le valigie di Tuese Luper ” “Il Giudice meschino”, “Holy Money”, “Baaria”, “Christopher Roth”)
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