Recensioni
Danilo Kiš
In un passo dell’Enciclopedia dei morti, Danilo Kiš accenna alle “srotolate di nastro” della sua macchina da scrivere. Questo riferimento dello scrittore agli strumenti del suo mestiere è toccante, perché raffigura dentro l’opera di letteratura la scena molto umana dell’autore intento al suo lavoro: è un abitare dell’autore dentro il suo lavoro, o meglio un incastonarvisi dentro, un ritagliarvisi un posto -sia pur defilato. È anche un momento di grande concretezza: uno scrittore di pochi decenni prima avrebbe dovuto fare riferimenti più generici alla penna e all’inchiostro, riferimenti validi per diverse epoche, che non avrebbero precisamente collocato la scena nel tempo. La macchina da scrivere, invece, ha avuto un ciclo di vita così breve, fra la stilografica e il computer, che il lettore colloca subito la scena nei primi ottant’anni del Novecento. Le dà, inoltre, un sapore “tecnico” che però non ha nulla di arido, dato il fascino dell’oggetto evocato. Dunque Kiš risulta poetico anche nel momento in cui distoglie l’attenzione del lettore dalla finzione e la porta sull’atto fisico dello scrivere.
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