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50 più 50
Scrivere con il solo fine di scrivere, senza pretese, senza fini che siano eterogenei alla scrittura stessa è forse un atto velleitario, utopico, sterile autoinganno? Non so, forse, ma non è certo questo il fine della poesia di Alessandra Carnaroli.
Alessandra Carnaroli, in “50 tentati suicidi più 50 oggetti contundenti” (Einaudi 2021) sembra smontare, attraverso la scrittura, il meccanismo che ne sta alla base, la sintassi, rimontandolo poi come fosse un gioco lugubre. Ci vuole ingegno e arte per creare questi piccoli quadri, dove passa una corrente che va subito spenta, per osservare meglio gli scarti minimi, le deviazioni del (dal) vivere. 50 più 50 accadimenti poetici che della poesia conservano l’eco straniante del linguaggio e della realtà il fragore. Non è liberatoria, la poesia, eppure può essere catartica, può agire nella distanza, farsi testimone e allora, sì, è liberatoria. Dunque, nessuna cosa è neutra, niente è solo oggetto. È la poesia, casomai, ad essere oggetto, oltre che visione e rivelazione di ciò che è comune, del quotidiano scomporsi delle cose, come quando il disordine travolge e crea un’altra forma e ti aggredisce. Allora, ci si difende attraverso le parole, mostrando il fare consueto, rovesciando la “normale” ermeneutica del quotidiano, dove nascono le ipotesi di suicidio e i femminicidi. I versi di Alessandra Carnaroli sono, qui, a difesa delle donne, per le donne (per tutti noi), testimoni di una disperazione, starei per dire, fredda, ferma.
Dai tentativi di suicidio: 14.
una cravatta di mio marito meglio
una cinta di accappatoio più lunga
che assorbe saliva se sbavo
o sono traccia dello sguardo allucinato di chi ha compiuto il gesto irrimediabile.
Dagli oggetti contundenti: 18.
il cric
che sono dovuto andare
in garage a cercarlo
tra le cose dell’auto nuova
ancora rate da pagare
ogni colpo ti solleva il corpo
gomma
di scorta
guardo per un attimo cosa c’è sotto
perdita d’olio
Si può, dunque, scrivere, eclissando il sentimento, che sembra essere stato esiliato, spinto in una zona lontana. Tutto questo non esclude il dramma, anzi, lo rende più tragico, più enigmatico, anche se solo immaginato.
Dai tentativi di suicidio: 38.
in bicicletta mentre torno
con le buste della spesa
appese al manubrio
mentre curvo i gomiti
all’incrocio infilo
un senso unico vietato
unico ricordo
lo sguardo
del bambino seduto accanto
al volante
lo spruzzo
di sangue
che copre il cappello dell’inter
Quanto può essere violenta una cucina, quale disastro tra la porta di casa e il garage, tra la realtà che scorre indifferente su uno schermo e l’altra realtà che le sta accanto, senza vederla, trasparente, ovattata, come attraverso una campana di vetro. I “quadri” generano linee, disegni, che tracciano minime risonanze, un rap strappato al reale.
Dagli oggetti contundenti: 24.
il ferro
da stiro
uno magari non ci pensa quando
lo compra
lo usa due volte a settimana
per le camicie e le maglie
che proprio non si possono mettere
con le pieghe storte
quando butta lo spruzzo
o nuvoletta
di vapore
poi se ancora scotta
lascia sulla pancia
la v
di vittoria
o vendetta
a seconda
L’autocoscienza dell’io, che finge se stesso e si mette in scena è, nella ormai oltrepassata frontiera dell’antilirica, verità a cui possiamo, dobbiamo, prestare ascolto. Questa immersione nella fisica del quotidiano, nel gesto, nello sguardo, nella violenza dell’uomo sulla donna è possibile solo attraverso la poesia. Questa di Alessandra Carnaroli è gesto poetico che delle ipotesi più crudeli e dei “fatti” più efferati ha la grazia e la ferocia della parola.
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