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ABBAIA LA CAMPAGNA
ABBAIA LA CAMPAGNA
a cura di Giuseppe Rizza
Uscito in prima edizione con una tiratura di 500 copie per la casa editrice Quinlan con prefazione di Marco Giusti – critico cinematografico e autore televisivo, fra gli altri, di Blob e di Stracult – il nuovo lavoro di Federico Pacini testimonia la sua filosofia di lavoro, quella di una fotografia che raccoglie e racconta il minimalismo della provincia italiana.
In “Non andare troppo lontano”, Pacini racconta l’apparente ordinarietà, il minimo movimento (forse sarebbe meglio dire sommovimento) di una campagna immobile, che sembra ospitare l’uomo con malcelata indifferenza, con legittimo fastidio.
L’ambiente ripreso è quello rurale della Toscana interna (Grosseto, Siena, molto probabilmente), che sembra abbandonato a sé stesso se non fosse per certi scempi e orrori dovuti alla fantasia devastatrice della natura umana.
E così vengono ritratti il gallo che sovrasta la lingua di asfalto di una strada di campagna, come a voler legittimare il suo impero smarrito; una croce cristiana di luci bianche che illumina la sera e la boscaglia; una tigre di porcellana che a fauci spalancate ringhia contro il genere umano che l’ha imbalsamata in una posa simil bellica; un’anguria scappata da un probabile carico e che ha preferito sfracellarsi su un parcheggio abbandonato; una tendina di plastica forse originariamente posizionata per sovrastare l’avanzata delle mosche; le attese – le immaginiamo lunghe – sotto la pensilina ad aspettare una corriera, e poi una serie di variazioni sul cattolicesimo: papi, madonne, croci, spazzate via da un porco dio scritto sulla facciata esterna di una costruzione, per finire con un fantasma che rimanda involontariamente a una famosa fotografia di Mimmo Jodice: un’auto interamente celata da un copri vettura che lascia scoperta, come un’apparizione la sola targa che recita GR.
Tanto che quando gli umani appaiono di fronte all’obiettivo di Pacini (alcuni di questi, soprattutto anziani, celati da una mascherina anti covid) sembrano quasi disturbare chi li osserva, verrebbe l’istinto di chiedere gentilmente di spostarsi, soggetti forse meno interessanti dell’inanimato tranne quando diventano loro stessi inanimati (un campione di tiro al volo, ritratto col suo fucile e incorniciato in una parete accanto a una mensola con tre coppe: è questa fra l’altro la foto scelta per la copertina).
L’immobile sembra stanco, sembrano suggerirci le fotografie di Pacini, ma anche l’immobile se la passa benissimo, in una desolazione che non riesce a stagliarsi dal suolo, sembra congenita, ereditaria, irrisolvibile.
Lo sguardo dell’autore ritrae ma non giudica, impegnato nel suo realismo del minimo, nel suo racconto profondamente politico di una realtà che appare comunque scollata dal resto del Paese, come una colonia ferma a qualche decennio fa, una forma di resistenza appartata di fronte all’assenteismo del potere centrale.
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