AMOS OZ. IL TRADIMENTO COME RITO DI ESPIAZIONE DELLA COLPA.

Affrontare l’analisi delle opere di Amos Oz, autore di ben trenta libri, avendo costui oltre settant’anni, richiede di porsi innanzitutto senza pregiudizi, per poi dare una visione con sguardo critico alla situazione attuale dello stato d’Israele, ove permangono tensioni che generano attriti capaci di sortire un conflitto che ormai dura dal lontano 1959.

Oz Amos

 

Il romanzo dell’autore israeliano si colloca, temporalmente, nel periodo in cui inizia a delinearsi la “conquista” della Palestina da parte dei profughi scampati all’eccidio nazista, arrivati in quella terra ove tutto – da millenni – si svolgeva, come in ogni altra parte del mondo, una vita tranquilla.

L’autore del romanzo si pone agli occhi di noi occidentali come egli stesso critico nei confronti dell’attuale linea politica che si segue in Israele e quanto scritto mostra l’idea sottesa sia al romanzo che nell’idea – e non ideologia – che Oz ha della convivenza civile.

I tre personaggi principali del romanzo sono posti sullo sfondo di un imperante conflitto tra arabo – palestinesi ed ebrei: diverse voci che descrivono le diverse anime presenti nella Terra Santa.

Naturalmente i giovani sono affascinati dalla storia che delinea anche fallimenti, come accade al giovane studente meravigliato e poi da Stalin ma anche dall’argomento che egli stesso pone in essere: Gesù. Chi era Costui e perché il popolo ebraico lo vede come un nemico. Nel contempo si mostra l’alter ego di Gesù, Giuda che diviene metafora del tradimento e – a mio avviso – del cambiamento, che può avvenire soltanto se vi è un atto di tradimento che genera una nuova visione del mondo che si attraversa giorno per giorno.

Da questo ambito particolare da cui si osserva il mondo in costante mutazione, i temi presenti più importanti – a mio avviso – rimandano all’ambiguità, ben diversa dall’ambivalenza e alla coerenza, molto più pericolosa dell’incoerenza. Temi che si intersecano con l’afflato religioso che pone in essere il confronto su quanto di messianico sia presente nell’ebraismo e quanto gli israeliani usino la religione come mezzo attraverso cui agire politicamente.

Si è detto che l’intento del giovane protagonista Shemuel è dare un nuovo punto di vista sul Gesù ebraico: figlio di un falegname e di una donna umile. Non è l’uomo che possiede la spada per imperare e dividere traendo fuori i supposti invasori dalla Terra d’Israele. Gesù in chiave ebraica significa rivoluzionare il mondo ebraico andando alla ricerca delle radici della cultura talmudica stessa. Cos’è il Talmud? Un libro sacro ove le parole trascritte sono frutto di racconti tramandati oralmente. Per la cultura israelita il valore della parola è elevatissimo. Tentare una rilettura della figura di Gesù, rinnegata e vilipesa dagli ebrei, significa rendere atto ciò che in potenza il sionismo non vuole venga conosciuto. A tal riguardo vi è un passo molto importante in cui Amos Oz scrive delle parole importanti al riguardo: l’individuo possiede soltanto quel che lui stesso vede e cerca di comprendere. Porsi domande su come fosse Gesù e quali fossero le sue caratteristiche di traditore della cultura ebraica o della religione ha poco conto se non per il fatto che venga portata avanti una esegesi che amplia il sapere, purché non si faccia speculazione. In fin dei conti è quanto accade oggi con l’antico testamento e il tentativo di decifrare i passi per rendere noto che la religione possa essere una costruzione; a mio avviso ogni tentativo di decostruzione, mascherata da esegesi, è destinata al fallimento. Come scrive Oz, si possiede soltanto quel che vediamo con i nostri occhi. Nel contempo la figura di Gesù è espressione di una forma d’amore che si scontra con quanto necessita all’individuo. L’amore di cui si parla nei vangeli, nel messaggio cristiano è correlato alla solitudine. Quando l’individuo si rifugia nella solitudine? Quando ha il bisogno di ergersi a difensore della propria individualità minacciata da forze cui non riesce a far fronte, quando il Fato si oppone ad ogni azione trasformativa. Da quanto insegna la cultura orientale la scelta è effettuata dal singolo che compie sempre un atto “creativo”, forgiato sempre dall’Eros quale forza trainante. Riflettere su argomenti quali il senso della vita, il tradimento e l’amore ad esso legato, è permesso dall’energia che deriva dal dialogo sia tra Shemuel e il Wald, che con Atalia la donna che a mio avviso delinea il senso stesso del romanzo: il femminile riesce ad accogliere, proteggere e – elemento importante perché qualitativamente di altissimo valore – ascoltare. Dove esiste condivisione c’è Amore, non l’amore universale, che come spiega lo scrittore attraverso il Vecchio Wald dicendo di amare il mondo intero non ama assolutamente nessuno. Molto d’impatto quanto appena scritto rafforzato però da quanto l’autore lascia trasparire dalle parole della donna Atalia: nella vita bisogna saper attendere anche quando non si ha percezione che tutto possa trasformarsi in amore. Il concetto principale caro alla psicologia analitica è l’attesa. Volendo dare una definizione di questa si potrebbe dire che rappresenta quel vuoto in cui si strutturano le capacità di resilienza dell’individuo che vuole amare, amando sé stesso. Se si amano tutti gli individui in fin dei conti, come scrive Oz, non si ama nessuno. A tal proposito si evince che quanto di menzognero viene detto e scritto su Gesù dalla cultura ha la stessa valenza di coloro che mostrano coerenza laddove invece serve l’incoerenza per poter generare un ponte che dia spazio all’evoluzione dell’uomo non guardando agli individui che si incontrano come semplici avversari cui dare soltanto il guanto di sfida. Come scritto in precedenza soltanto amando sé stesso potrà – l’individuo – amare l’Altro da sé. Per rendere possibile l’avvicinamento ad altre individualità è necessario che vi sia una predisposizione d’animo – o meglio come scrive Oz – bisogna possedere Anima: avere il contatto con Anima equivale ad aver ragione. In fin dei conti avere ragione sortisce un estraniamento dall’ambente in cui si vive. Tutto ciò si connota in terra bruciata, ove per terra bruciata si intende l’avere opinioni diverse che contrastano con quelle della società in cui si è inseriti. Come nota giustamente Oz gli ebrei che esaltano Giuda condannando Gesù non sono poi così diversi da coloro che si macchiano di antisemitismo: qualora si ponesse la domanda su cosa differenzia una cultura millenaria come quella ebraica da quella gretta chiusura mentale che genera il sionismo, la risposta la dà lo stesso scrittore: citando Kant, portato in cattedra da Gershom Wald – a chi scrive non sembra casuale il nome Gershom se si pensa ai grandi studiosi della qabbala (Scholem) – , che mostra quanto sia difficile cercare di modificare un comportamento umano, figurarsi l’imprimatur di chi si percepisce superiore o eletto. Tra gli antisemiti e i sionisti – assumendomi la responsabilità di quanto dico in quanto il sionismo è ideologia e non cultura millenaria – non v’è differenza se non per la tipologia di odio che si impossessa delle individualità. Da un punto di vista meramente storico, la collocazione della storia romanzata nell’anno 1959 vuole essere un tentativo di far luce su quanto Ben Gurion non poteva non essere fautore di quelle azioni. Soltanto Ben Gurion aveva il potere di decidere se il popolo ebraico potesse o meno aver un luogo ove fermare la sua furia nomade. Cercare di dare di raddrizzare un ciocco a mo’ di Kant genera soltanto spirale di violenza. Tanto Gesù quanto Isaac Rabin sono rei di aver tradito la volontà di doversi sempre sentire rincorsi dal male. Accade sovente che una sorta di auto – profezia si manifesta allorquando questi – gli ebrei – cercando libertà finiscono con l’essere invasori di chi non è in un luogo che non gli appartiene. Quanto accade oggi nei territori tra lo stato della Palestina e Israele è figlia di una presunzione che fa diventare l’oppresso oppressore. È il meccanismo che si rinnova quando vi è il fumus persecutionis di chi ritiene di aver ottenuto soltanto sofferenza.

Analizzando quanto si evince anche da articoli apparsi su quotidiani e settimanali, il concetto del tradimento – insito nella stessa cultura ebraica come riportato anche da James Hillman – viene visto come il motore che lede la sacralità” di tale cultura o popolo. Qui si nasconde l’incoerenza della coerenza. L’autore, come ho già avuto modo di accennare, ha posto in essere una rilettura che rende atto alla potenza creativa di uomini che hanno lottato cercando di conferire libertà ove la libertà attuale è pur sempre limitata, non per volere altrui – in questo caso i palestinesi sono gli oppressi, anche se difendono i loro territori in modo errato – bensì per una caccia alle streghe che relega il popolo ebraico alla ricerca spasmodica di un messia che non era Gesù che viene oltraggiato durante e dopo, al pari dell’ideologia sionista che relega chi ha idee da loro difformi al rango di antisemita, quando ci si permette di dissertare su argomenti quali la religione cristiana. In fin dei conti la paura che si ha essendo ebreo è che la sua stessa natura timorosa lo spinga a compiere errori. Per questo ogni azione, ogni tentativo di emancipazione risente del timore di un Dio vendicativo. Il dio vendicativo può essere sia chi vuole creare uno stato dal nulla (Ben Gurion) che chi come Giuda deve agire per essere capace Gesù di apportare cambiamento. Ogni rivoluzione, ogni tentativo di integrazione passa attraverso modalità di tradimento che possono dipanarsi anche attraverso atti d’amore. Tutto il romanzo di Amos Oz è un atto d’amore e denuncia verso il suo popolo e il suo Stato, definibile come un Non – Stato quando pretende di essere libero generando in soggetti terzi una privazione. Cercare la democrazia paventando lo stato del terrore è sì coerenza, se si ritiene di essere vittime, nel contempo l’incoerenza di Giuda è necessaria perché vi sia una trasformazione; quella di Ben Gurion ncessitava di una risposta diversa, che andasse al di là del proprio tornaconto vittimistico. La vittima che aspetta il salvatore compie una rilettura della storia stessa delle sacre scritture: il vero amore non dimora nella speranza che qualcosa venga e salvi imperando e dividendo. Giuda, con l’alto tradimento di Gesù, ha tentato di mostrare la necessità di una possibilità di “redenzione”, intendendo con ciò possibilità di crescita uscendo dalle sabbie mobili di una cultura messianica quale è quella ebraica. È sì conoscenza per la conoscenza; talvolta diventa il modo attraverso cui adoperare il proprio senso di impotenza. Questo senso di impotenza si riverbera sull’ ideologia di molti giovani che abbracciano come una fede la lotta contro il nemico palestinese, guardando in questi l’essere sottomesso, qualità che in verità riguarda loro stessi. Nei territori della Terra Santa, nel bel mezzo del deserto vengono costruiti degli insediamenti che pongono in essere una vera e propria invasione che non soltanto lede gli arabo- palestinesi, bensì lascia morire giovani ebrei in nome di una volontà messianica cui far riferimento ritenendo che ancora non vi è capace di donare loro (agli ebrei) libertà.

Chi si è mostrato come sognatore è proprio Ben Gurion che sognava uno Stato che ponesse al centro il rispetto e la convivenza civile. In realtà l’ idea sottesa nel progetto politico è l’ideale di libertà che si potrebbe far risalire ad Immanuel Kant: nei territori la paura di una pace perpetua in cui – grazie ad un assetto derivante da mediazione – la convivenza si dipana attraverso la divisione dei poteri tra ciò che è laico e ciò che è religioso. Volendo operare una analogia tra Gesù il Nazareno e Ben Gurion, entrambi risultano agli occhi dei lettori ingenui e convinti di ciò che il popolo non ha mai voluto riconoscere in quella parte del mondo: i conflitti religiosi sono destinati a perdurare nel tempo, persistendo nella spirale violenta ove chi difende il proprio status quo viene ritenuto apportante pericolo. Come scrive Oz dalla violenza nasce soltanto violenza che risulta poi descritta come un immenso cimitero di generazioni che si combattono come fossero il rinnovamento di una ideologia deformante. Tanto gli ebrei che i palestinesi non riescono ad uscire da una inflazione che non permette loro di giungere ad un accordo. L’immagine paesaggistica che viene disegnata e dipinta dallo scrittore israeliano è la situazione ambientale del suo paese e delle sue illusioni di giovane speranzoso di un futuro in cui fossero presenti il rispetto per l’individuo, qualunque fosse la sua religione o il suo credo politico.

L’illusione di un nuovo mondo diviene il motore che genera violenza e chi tenta di distaccarsene viene intuito come monade scissa. La vita di Amos Oz si è declinata attraverso lutti e amore per la sua patria, ma, una patria che non deve essere foriera di morte e di scontri che si potrebbe affermare siano fratricidi. Se gli insediamenti vengono a ledere la condizione di partenza in cui i palestinesi vivono da millenni, la percezione della modernità portata dai coloni israeliani, dà inizio a violenza che rivendica soltanto il diritto naturale d’appartenenza degli stessi arabo – palestinesi. Molti giovani, da ambo le parti, perdono la vita. Qual è il prezzo che si paga? Il prezzo è l’impossibilità di vivere un amore, di costruirsi una famiglia che abbia futuro. Sono dense di significato le parole che lo scrittore lascia pronunciare al personaggio femminile – ancora una volta il Femminile protagonista quale diretto agente che apporta significato laddove sembra non esservene – che laconicamente ammette che non ha senso amare se si è inserito in una guerra che rasenta l’autodistruzione.

A quanto scritto finora si aggiunge l’articolato messaggio che Oz lascia attaccando l’ideologia – di ogni sorta, anche se è diretta al suo popolo l’invettiva – sionista. Cos’è il sionismo? Un’ ideologia politica oltranzista che ha il proprio bastone nella destra ultra – nazionalista ove si è bloccati all’interno della tradizione millenaria della ebraico- ortodossa. Generare figli, non lavorare e voler degli insediamenti: questa è onnipotenza che non riconosce l’Altro come avente gli stessi diritti. Una ri – lettura del romanzo di Oz in chiave analitica non può prescindere da una valutazione di quanto l’Eros sappia plasmare la volontà dell’individuo che cerca di emanciparsi anche restando in disparte. Il vissuto di inadeguatezza non è visibile in chi lotta perché vi sia la pace, bensì per chi, mantenendo la spirale di odio, impedisce l’apprendimento di quanto la convivenza sia necessaria anche e soprattutto ove persistono differenze. In Terra Santa si cerca la convivenza ma due forme di estremismo si scontrano perché esplicitate da motivazioni di diversa natura: l’ oppresso non può non reagire attraverso forme dissimulatorie quali quelle terroristiche, al contempo l’israeliano osa sempre più a erodere fasce di deserto rendendolo oasi in cui poter proliferare, urbanizzando per sé stesso, impoverendo per i nativi.

Il tentativo di Ben Gurion – così come il messaggio evangelico di Cristo – pur essendo di altissimo valore, risultano ingenui. Questo è l’alto valore. L’ingenuità che forgia come si fosse eterni bambini che si lasciano trasportare da ideali come Isaac Rabin, tacciato d’essere traditore e amico degli arabi. Chi opera il cambiamento, in una cultura che non riconosce la diretta discendenza dal principio femminile, deve tradire. Perché si parla di dovere? Perché ogni trasformazione passa attraverso un sacrificio che può essere tanto forgiato dall’Amore – non inteso universalmente – quanto dalla percezione altrui di distruzione e allontanamento dalle proprie radici. La colpa che viene designata allo scrittore Oz è l’aver deciso di attivare – insieme ad altri intellettuali di origine ebraica – una petizione per lo stato della Palestina.

La cultura ebraica non è afferente al sionismo, che come ogni ideologia è foriera soltanto di sovvertimenti della Storia, anche quella biblica. C’è un passo nel libro in cui l’autore cita racconti provenienti dal Talmud: cultura israelita come motore di civiltà, purché non cada nell’ideologia che permette di comportarsi gli stessi nazisti. Perché chi ha firmato accordi mediando attraverso il dialogo viene spinto nelle braccia della morte? Il sacrificio serve purché vi sia rinascita, anche pagando il prezzo più grande con la perdita della vita. Naturalmente si sta parlando in termini di politica poiché nel romanzo si intrecciano Storia, politica, sacre scritture e infine una storia d’more fantasticata cercando di esulare dalla famiglia d’origine. È il viaggio che compie Amos Oz. Nel contempo è il viaggio di ogni individuo che vuole elevarsi per vivere in una società civile in cui viga la libertà e la forza dell’individuo che si emancipa facilitando l’emancipazione del collettivo, anche guardandolo con uno sguardo incoerente agli occhi di chi ha una ideologia diversa e non ideali. Ogni individuo ha gli occhi chiusi perché non guarda osservando ma scorre in velocità quel che la società offre. Se si avesse uno sguardo attento molte storture del nostro tempo – conflitti inter- religiosi e tra etnie o stati, non sarebbero all’ordine del giorno. Si pensi ad esempio al potere della jihad islamica dell’IS che ha oscurato il terrorismo di Hamas, vissuto sempre con grande paura dal popolo ebraico. Non v’è necessità di molte parole, se non di dimostrazione di distensione. Le parole dello scrittore mostrano come il conflitto tra le razze e/o religioni siano frutto di una deriva morale dell’Europa cristiana, che ha voluto prima essere forza coloniale, per poi giungere a abbandonare questi territori al proprio destino. Il destino lo scegliamo noi e nei territori occupati si decide per altri pur non tenendo conto delle necessità altrui. Ovviamente la dinamica è quella già descritta: se sono vittime, ci si trasforma in terroristi per tentare una strada, anche quella del dialogo. Il ruolo del traditore è affine alla tipologia di personalità che crede veramente all’ideale che sostiene: Giuda non poteva non tradire Gesù poiché egli rappresenta il vero credente, avente fede. Il ruolo dell’ Iscariota è pari a quello che ha nel gioco politico Ben Gurion, al pari a mio avviso della fascinazione operata dal Femminile di Atalia che vuole si essere amata ma da chi non sarà mai quel che vuole, in quanto l’amore è un gioco di proiezioni tra amato e amante. Tale dinamica diventa ancora più proiettiva quando vi è una perdita, un lutto. Gli ebrei vivono un costante senso di impotenza celato da una maschera di forza espressa con i deboli, perché cresciuti in maniera diversa. Cristo viene abbandonato dal suo stesso Padre quando è sulla croce; sia gli israeliani che gli arabo – palestinesi sono abbandonati a loro stessi nella continua rivendicazione che genera soltanto conflitto che rende possibile soltanto la sussistenza del dolore. Il dolore permane; vita e morte sono un circolo.

Colui che tradisce può soltanto aspirare ad una morte che sortisca una rinascita: quella di un’intera cultura e/o dell’umanità che in essa si riflette.

Gesù doveva essere crocifisso e Giuda doveva essere toccato dal senso di colpa per cui la sua natura di traditore è strumentale poiché in altro modo non vi sarebbe evoluzione. Oggi bisogna riconoscere il valore del tradimento e della possibilità di riscatto che esso offre: non la colpa bensì una seconda possibilità.

Concludo la recensione affermando che la seconda possibilità gli israeliani e i palestinesi l’hanno avuta. Con il romanzo storico – politico e non per importanza autobiografico, Amos Oz traccia la via per il cambiamento a cui fa seguito il riconoscimento dello Stato palestinese da parte della comunità internazionale. La reazione della destra israeliana non si è fatta attendere; d’altronde il conflitto va avanti da sessanta anni.

Amos Oz nel suo ultimo romanzo è profeta e esegeta della sua stessa cultura: l’esegesi la si fa sempre specialmente quando si tenta di comprendere quel che accade.

Amos Oz sa.

Alfredo Vernacotola