Recensioni
Angela Suppo, Il filo torto 1
Angela Suppo, Il filo torto, puntoacapo, 2022, Collezione Letteraria
Angela Suppo, torinese, laureata in filosofia, una vita da insegnante e da dirigente scolastica nei licei, una poesia minuta e lucida che sembra quasi coincidere alla sua figura garbatamente acuta, non sente il bisogno di scrivere molto né di pubblicare spesso, ma di selezionare. Usa le rime in senso funzionale all’ironia, quando deve centrare un obiettivo. Collabora al foglio di poesia Amado mio, fa parte del Circolo dei Lettori di Torino, con la raccolta precedente, Senza indicazioni di tempo, 2019, ha vinto il premio Mario Soldati 2020, il premio speciale della giuria Besio 2021, è stata finalista in due edizioni del Gozzano, 2020 e 2021, e sempre negli stessi anni ha ricevuto la menzione d’onore al Premio Parasio-Città di Imperia. La seconda raccolta è Il filo torto, Puntoacapo Collezione Letteraria, 2022, un titolo, mi spiega, che richiama la torsione del filo e implicitamente le contraddizioni e la complessità della vita, che è qualcosa di robusto, colorato e luminoso, anche quando è segnata dal dolore.
PROTEZIONE SOLARE
Per sovraesposizione mediatica
si usi una forte protezione.
Se 50 non basta, replicare:
c’è sempre lo schermo totale.
Se nel tempo la pelle si è macchiata,
nello specchio non resta che contare
quanto gli altri ti abbiano scrutato,
ogni macchia uno sguardo penetrato,
a rubare quanto c’era da salvare.
È da saggi dunque ricordare
che il troppo mondo è sempre da evitare.
Finalmente i luoghi in una raccolta femminile: nel tuo filo torto sono una costante, anche quando rimangono sullo sfondo. La poesia di apertura, sulle OGR, denota coraggio: le OGR sono una delle più riuscite ristrutturazioni torinesi e hanno ridato vita a un luogo che altrimenti avrebbe potuto essere semplicemente una stazione – la vicina Porta Susa in questo caso – , ma tu hai colto la sua principale contraddizione.
O.G.R.
Officine Grandi Riparazioni Ferroviarie
Servono Grandi Riparazioni
a questa città
per ricordarsi
che ha perso l’odore
delle fabbriche
e il suono stridulo delle sirene,
nelle sere,
per divenire una grande cucina
con tavoli all’aperto,
banconi di bar,
e pranzi a 10 euro.
Nelle strade del paleo-industriale
non scolorano i ciclisti del mattino,
con mollette pinzate alle caviglie,
e carta preziosa del giornale sul torace.
Oggi tra edifici abbandonati
Restaurati in botteghe di nulla,
o loft raffinati,
solo i nomi delle vie, come a Pompei,
trasudano il passato.
Che è rimasto della storia operaia di Torino? Solo l’architettura?
Torino oggi è così diversa dai miei primi ricordi, dai tre anni in avanti. Suonavano le sirene e mia madre diceva: «Senti, è per dire agli operai che è finito il turno, che è ora di pranzo». Davvero vedevo gli operai con le mollette alle caviglie, anche mio padre, che amava la bicicletta, ma che, lavorando in banca, è stato presto richiamato all’ordine dall’Ufficio del personale, per comportamento poco dignitoso. Ubbidì con rabbia. Era in anticipo sui tempi. La sirena suonava solo per gli operai, diceva la mamma, negli uffici non suonano, e questo mi apriva un mondo estraneo, che però intravedevo nelle case popolari di borgo san Paolo, nei cui cortili comparivano ancora i rifugi antiaerei. E sapevo che, pochi anni prima, le sirene suonavano per gli allarmi.
Torino era piena di fabbriche. Poi sono cresciuta e la mia adolescenza è stata segnata da una formazione cattolica di sinistra, e ricordo i luoghi in cui approdavano gli immigrati: via della Brocca, il casermone di via Verdi, le casermette di via Guido Reni. Conoscere il mondo a 16 anni era anche il Cottolengo. Oggi i volontari sono tutti protetti e “formati”. Noi, a sedici anni, studenti di liceo, buttati lì allo sbaraglio, a crescere. I maschi andavano davanti ai cancelli della Fiat. Oggi leggo solo nomi di strade che ricordano passaggi, ma mi chiedo a chi dicano qualcosa.
Torino post-industriale: dove sono finiti gli operai, i rivoluzionari (così li vedevo) quelli che ho conosciuto nelle sezioni del Partito, o in Federazione? Con chi di loro potresti oggi parlare, discutere di libri e a chi appariresti un “intellettuale”, buffa sensazione provata nella sezione? Bellissima questa città per chi è giovane. Anche per me, assomiglia alla città che sognavamo, che pensavamo potesse nascere, ma ora è un’altra. Le persone sono cambiate, le classi sociali identificabili ma sempre chiuse. A manifestare solo la borghesia? O i centri sociali. OGR belle: sembra di essere a Berlino, o a Buenos Aires. Il bello del riuso, che è un bello un po’ uguale in tutto il mondo. Non siamo più provinciali!
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