Approfondimenti
PER IL TRAMITE DELLA LETTERATURA 10 b
COME LA PANDEMIA DA COVID-19 È DIVENTATA L’INSONNIA DEL XXI SECOLO
di Lorenzo Gafforini*
a R.
«Felici i posteri, che non avranno conosciuto queste disgrazie e crederanno che la nostra storia sia una favola!»
FRANCESCO PETRARCA, Familiarum rerum libri
In quegli anni la tematica dell’epidemia viene trattata anche in ambito teatrale da Eugène Ionesco ne Il giuoco dell’epidemia. Nell’opera, il grande drammaturgo di origine romena descrive un’epidemia – come nella migliore tradizione letteraria – che colpisce le vittime senza logica. Da questo pretesto nascono le reazioni più svariate, restituendoci una delle prove migliori sotto l’insegna del teatro dell’assurdo[1].
Il lavoro di Ionesco si contraddistingue per una ironia sagace che, però, non rinuncia a un saldo assetto socio-filosofico.
Un esempio scanzonato per spiegare l’andamento dell’epidemia è dato nella scena seconda dal funzionario nell’arringa che svolge davanti ai cittadini: «improvvisamente, senza motivi plausibili, senza essere ammalata, la gente comincia a morire, nelle case, nelle chiese, agli angoli delle strade, sulle pubbliche piazze. […] Si tratta, dicono i medici, gli storici, i teologi, i sociologi, si tratta di un male che si manifesta ciclicamente, raramente ma ciclicamente […], e che compare di volta in volta in una parte diversa del mondo. Questo male fa il giro della terra e colpisce i paesi e le città più felici, sì, nel momento del loro massimo splendore nel momento in cui credono di non aver più nulla da temere»[2]. Questa bizzarra spiegazione è esemplificativa: quando sembra che tutto vada per il meglio, la serenità è turbata da un fenomeno inatteso – o presunto tale – che costringe la civiltà a immergersi nel loop degli errori storici.
Altro capolavoro in materia è Cecità di José Saramago. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un’epidemia improvvisa che colpisce per la prima volta un automobilista ignaro in attesa al semaforo. Tutte le persone entrate in contatto con il soggetto – mai pensando si trattasse di una malattia trasmissibile – saranno a loro volta contagiate fino a colpire l’intera popolazione. Da notare anche come i vari personaggi – e persino un cane – che compaiono nel romanzo non hanno dei nomi propri, ma vengono chiamati in relazione alla loro professione o situazione (es. il medico, la moglie del medico, la ragazza dagli occhiali scuri, il ragazzino strabico, il cane delle lacrime ecc.).
In uno dei tanti passaggi memorabili del romanzo fantastico di Saramago si legge: «Ah sì, la quarantena non è servita a niente […]. Siamo tutti ciechi, Tutti, tutta la città, il paese. Se qualcuno ci vede ancora, non lo dice, se ne sta zitto»[3]. Infatti, per esempio, c’è la “moglie del medico” che riesce ancora a vedere e diventa il testimone oculare di questa epidemia eccezionale, non priva di crudi risvolti drammatici: «la strada dove un tempo abitava la ragazza dagli occhiali scuri sembrava ancora più abbandonata. Davanti alla porta del palazzo c’era il corpo di una donna. Morta, smangiucchiata dagli animali randagi, per fortuna il cane delle lacrime oggi non è voluto venire, sarebbe stato necessario dissuaderlo dal servirsi anche lui di questa carcassa»[4].
Poi, l’epidemia un giorno qualunque scompare così come era apparsa. Con questo grandioso escamotage narrativo, Saramago permette al lettore – proprio come venne già fatto da Márquez – di immergersi in una riflessione sulla natura degli esseri umani, la loro superficialità e crudeltà latente.
In questo elenco, poi, trovano posto anche due notevolissimi lavori della letteratura nordamericani, quali Nemesi di Philip Roth e La strada di Cormac McCarthy.
In Nemesi si figura un passato recente alternativo. Nel 1944 la cittadina di Newark è colpita da un’epidemia di una malattia reale: la polio. Il protagonista della vicenda, il giovane adulto Bucky Cantor, cerca di ribellarsi all’inevitabile avanzata del morbo che colpisce i bambini. Come precisa il dottor Steinberg: «per tutti noi, in quanto medici, è doloroso restare a guardare il diffondersi di questa terrificante malattia senza poter fare nulla per fermarla. Una malattia invalidante che colpisce soprattutto i bambini e ne uccide alcuni … per qualunque adulto è difficile accettarlo»[5].
Ne La strada, invece, McCarthy lo sfondo della vicenda è una realtà post-apocalittica, scarna, crudele e desolante. In questo caso, il pianeta è stato soggetto a una strage non meglio identificata che ha sterminato gli esseri umani, i quali hanno solo un vago ricordo della civiltà – come avviene ne La peste scarlatta. I dialoghi di padre e figlio che percorrono un’America irriconoscibile sono lapidari. La prosa è calzante, dettata da periodi brevissimi, proprio per conferire il senso di durezza: l’opera è come se fosse un collage di istantanee scandite dal lento procedere di un’epoca senza tempo.
McCarthy scrive: «attraversarono quello che era stato un piccolo villaggio lungo la strada, raso al suolo dalle fiamme. Alcuni serbatoi di metallo, qualche camino di mattoni annerito. Nei fossi c’erano pozze grigie di vetro fuso, e matasse arrugginite di fili della luce scoperti lungo il bordo della strada»[6].
Note
[1] «Ionesco questa volta, e per la prima volta adotta il criterio dell’accumulo e, se si preferisce, della stratificazione. Non siamo di fronte ad una storia, manca una vicenda, non ci sono personaggi da seguire dall’inizio alla fine; c’è unicamente una situazione che si manifesta e cresce attraverso una serie di scene giustapposte e senza rapporti apparenti tra loro. È come un unico motivo che lievita, fermenta, gonfia, iterandosi incessantemente, sino a giungere ad un massimo di tensione, per poi sciogliersi d’improvviso, gratuitamente, e altrettanto d’improvviso e gratuitamente ricominciare diverso e uguale, tragicamente fatale» (G.R. Morteo, Introduzione in Il giuoco dell’epidemia, Einaudi, Torino, 1971, p. 6).
[2] E. Ionesco, Il giuoco dell’epidemia, Einaudi, Torino, 1971, p. 24, trad. di Gian Renzo Morteo.
[3] J. Saramago, Cecità, Feltrinelli, Milano, 2018, p. 190, trad. di Rita Desti.
[4] Ivi, p. 252.
[5] P. Roth, Nemesi, Einaudi, Torino, 2011, p. 68, trad. di Norman Gobetti.
[6] C. McCarthy, La strada, Einaudi, Torino, 2007, p. 146, trad. di Martina Testa.
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