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AZZORRE – Il ferro caldo della memoria
Azzorre, di Cecilia M.Giampaoli, pubblicato da Neo editore, è il racconto di un groviglio sentimentale, un gomitolo che si dipana dall’Italia per arrivare fino all’Atlantico.
La narratrice è la figlia di una delle vittime di un disastro aereo accorso nel 1989, a Santa Maria delle Azzorre, 144 persone partite dall’aeroporto di Bergamo, che muoiono a seguito dell’impatto con la montagna.
La memoria si affida, nel suo essere sempre dilatata e reinventata dal tempo, a un tentativo di ricostruzione a distanza di anni, e il logorio del ricordo non riesce a placarsi.
Cecilia ripercorre fisicamente i sentieri del dolore, è – legittimamente – assetata di verità.
Questo suo desiderio viene narrato come lo farebbe un sismografo, rivela tutte le scosse, anche quelle apparentemente minime, e non segnala i pericoli, la lava incandescente.
Il corso degli eventi deve fare i conti con il lutto, con il clima mutevole delle isole, con gli umori degli umani, i loro tentativi di soffocamento.
L’edificazione della memoria come prova di coraggio, una prova che viene superata dall’autrice stessa, come un attraversamento di un fuoco o una rincorsa sui carboni ardenti.
La Giampaoli riesce ad essere universale nel suo essere personale, nel racconto del suo privato dolore risponde a un sentire che diventa scambio reciproco col lettore, il lettore infatti entra laterale al racconto come un avventore, un personaggio secondario che sfuma nel paesaggio delle isole atlantiche.
È, questo, il merito del libro, rendersi con la giusta distanza accogliente a chi legge, senza creare sentimenti di patetismo o tantomeno di pornografia del dolore (da cui il libro è distante anni luce), allontanando il distacco da una materia incandescente.
Forse non c’è un momento giusto per fare le cose difficili, ma senza dubbio c’è un momento in cui se vuoi farle davvero non puoi più aspettare.
Azzorre, Cecilia M.Giampaoli, Neo ed.
di Giuseppe Rizza
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