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a cura di Ianus Pravo

Il granata … porphiréou / apò stómatos hieîsa phonàn parthénos (Simonide).
Dalla bocca di porpora lanciò la vergine un grido. Purpura, pura pura. Mi piace tradurre dalla cupa bocca lanciò la vergine un grido. È un rosso che vira, investendomi della sua allegria sonora come Eco investe un Narciso cieco, cioè un poeta impotente, è un rosso che vira nel violaceo della carne baconiana. È un movimento di sangue aperto. La fierezza malinconica del rosso quasi nero (Ernst Jünger, “Tempeste d’acciao“).

L’azzurro. Del sempitermo azzurro la sacra ironia / Perséguita, indolente
e bella come i fiori, / il poeta impotente…
(Stéphane Mallarmé, “L’Azur!”) . L’eírôn è colui che interroga fingendo di non sapere. Questa è l’ironia dell’azzurro. È la sacra ironia dell’oblio dell’interrogazione, la domanda che rifiuta la risposta, un grido sommesso perché finisca la memoria / e il ricordo divenga azzurro (Leopoldo María Panero, “Peter Pan non è che un nome“).

L’azzurro e il granata della maglia, nel movimento del giocatore, si confondono, penetrano l’uno nell’altro. Nell’osservazione in quiete, ironia e oblio stanno a lato del sangue e della fierezza del getto, come in una pittura romanica dove i personaggi sono appunto laterali l’uno all’altro, senza dialettica. Nel movimento, invece, gli occhi dell’osservante percepiscono il non ricordo che pervade il sangue. No so se te ga capío. A xe na question de corpo, no de mente. Xio can.