Approfondimenti
BELLI CAPELLI E ALTRE DIVINITÀ
Anche alle più spartane e inflessibili amanti del look naturale, anche alle più refrattarie alle mode passeggere o alle ribelli del pettine, ecco anche a costoro sarà capitato qualche volta di trovarsi in uno dei templi sacri della bellezza femminile: il salone della parrucchiera, ormai definito nella maggior parte dei casi con altisonanti nomi rubati ad altre lingue (francese e inglese), non si sa perché considerate più nobili a designare siffatto luogo di incredibili magie e torture velate. Che si sosti il tempo di una “spuntatina” con rapida piega annessa, o il purgatorio di lancette che danno almeno due giri completi di orologio prima di restituire le chiome grigie al colore della gioventù, succede di osservare donne di ogni età che si affidano alle sapienti cure dei professionisti del capello. O di essere in prima persona protagoniste del sogno a occhi aperti di avere una testa perfetta, che corrisponda ai canoni di bellezza imperanti in quel momento o a una loro personale reinterpretazione. Cambiare, ringiovanire, sentirsi diverse o sempre uguali nonostante l’avanzare dell’età, assomigliare a un personaggio famoso o all’amica circondata da uno stuolo di ammiratori, tagliare via ciocche di ricordi, arricciare, lisciare e sì, anche allungare i capelli naturali, sono solo alcune tra le possibilità a disposizione delle ambizioni tricologiche di milioni di occidentali. Uno degli interventi più incisivi è di sicuro l’infoltimento e allungamento della chioma, con l’utilizzo delle cosiddette extension: una sorta di miracolo, insomma, che tu entri dalla pettinatrice (mia nonna così chiamava la parrucchiera e anch’io) con quattro peli corti o di media lunghezza in testa e con lo stesso desiderio di quando a sei anni ti avevano tagliato i capelli “perché fa caldo, così non prendi i pidocchi”, e tu impaziente iniziavi la conta dei giorni e dei mesi che ci volevano prima di poterti rifare la coda di cavallo lunga, entri così, carica di aspettative, come dentro a una chiesa ricolma di madonne alle pareti dai belli capelli, che ti osservano silenziose dall’alto della loro estatica patinata grazia e niente, dopo qualche ora ti guardi allo specchio e non ti riconosci più, ché sei diventata la sosia di Rapolina (quella della fiaba, che gettava giù dalla torre la sua treccia folta e chilometrica per far arrampicare il principe). Io non l’ho mai fatto, anche perché i costi sono piuttosto elevati, ma ho frequentato per un certo periodo un salone in cui questa pratica era richiestissima, perciò ho visto con i miei occhi le trasformazioni in corso grazie all’aggiuntina prodigiosa di queste ciocche vaganti (le migliori sono considerate quelle di capelli veri).
E che cosa vado a leggere qualche tempo fa? Un articolo serio e assai dettagliato che svela da dove arrivano queste ambite ciocche. Niente meno che dall’India. Capelli che hanno attraversato il mondo e come lunghi fili di seta hanno unito donne di continenti diversi. Sì, perché le induiste almeno una volta nella vita devono rasarsi a zero e donare i propri capelli alla divinità, un gesto questo che simboleggia la rinuncia all’ego e alla bellezza. Figuriamoci se gli avvoltoi del business si lasciavano scappare l’occasione di fare un sacco di soldi, sfruttando i riti sacri di una parte dell’emisfero e dell’altra: delle donne che per un voto agli dei affrontano il rituale della rasatura e danno via la loro avvenenza, e di quelle che in un rituale di segno opposto cercano di recuperarla o di esaltarla. Così ciocche di capelli lunghe e lucenti sono acquistate in India per pochi spiccioli e poi, dopo una serie di trattamenti che le trasformano in extension, partono alla volta dell’Europa e degli Stati Uniti per essere rivendute a cifre esorbitanti. E arrivano sulle teste di noi occidentali, che preghiamo il dio dell’eterna giovinezza di non abbandonarci, come ha fatto il lui di turno, oppure quello della vanità di regalarci uno sguardo clemente verso noi stesse, o ancora la dea della sensualità di addobbarci di fascino perché solo se siamo desiderate ci sentiamo vive, o ancora quella dei capricci che ci aiuti a soddisfare tutte le voglie che possiamo permetterci a colpi di carta di credito.
Io allora ho pensato questo, che a un certo punto, in un luogo che non si sa dov’è, le preghiere di tutte le donne, di quelle calve per scelta e di quelle dai capelli posticci, si incontrino, si mischino, si riconoscano e diventino in ultimo la stessa identica richiesta d’amore. Di una carezza sulla testa. E non importa se spazzola o rasoio, la speranza è sempre che si avveri, in un modo o nell’altro.
Margherita M.
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