Approfondimenti
Black Mountain: Chamberlain
Anteprima degli scritti sconosciuti dell’artista del 1955, che saranno pubblicati dalla Princeton University Press questo mese, inediti in America e in Italia.
Black Mountain: Chamberlain
Poesie inedite di John Chamberlain dal Black Mountain College.
Molti di noi conoscono John Chamberlain (1927-2011) per le sue sculture accartocciate e contorte.
Ma prima che diventasse famoso per la sua arte, Chamberlain scriveva poesie. Questo mese, la Princeton University Press pubblica una raccolta di scritti completamente sconosciuti dell’artista, di quando studiava poesia al Black Mountain College nel 1955, insieme a illustri poeti come Robert Creeley e Robert Duncan.
Alcune delle poesie alludono specificamente all’arte dello scolpire. Non tutte le poesie della raccolta sono magnifiche opere letterarie, tuttavia l’attrattiva principale di questa collezione è l’offerta di una nuova finestra sul processo creativo dello scultore, di come abbia costruito anche a parole il mondo che lo circonda.
Chamberlain vedeva le sue poesie strettamente correlate alla pratica dell’arte visiva. Nell’introduzione del libro, Julie Sylvester (autrice anche di “John Chamberlain: A Catalog Raisonné of the Sculpture”) ha incluso alcuni estratti da una serie di interviste a Chamberlain tra il 1981 e il 1984:
L’arte è una particolare forma di follia in cui si fa uso di un mezzo di comunicazione, il che significa che debba essere riconoscibile da altre persone, e dire qualcosa che non avevano sentito, o non avevano percepito o che avevano represso. Curiosamente, è solo di recente che ho notato che sto ancora creando sculture nel modo in cui ho realizzato le mie poesie. Tutto quadra. Supponiamo di prendere una parola che si trovi su una pagina. Ci piace questa parola, questa parola sembra carina. Forse non ci interessa nemmeno cosa significhi la parola. Ma ci piace la parola. Possiamo anche coniugare la parola. Se la parola è bellezza, può diventare bella. Quindi può diventare meraviglia, no? O abbellimento. Ci si può giocare, aggiungere o, se si preferisce, spezzare. Si può giocare con le lettere nella parola, fare anagrammi. Smontare le sillabe, riordinarle.
Quello che faccio io, non è diverso. […]
Quando andai a Black Mountain, scoprii che c’erano altre persone che si esprimevano in un modo diverso, cercando di scoprire ciò che non sapevano. Tutti gli altri conosciuti fino ad allora erano soddisfatti di ciò che già conoscevano. Non erano curiosi. Probabilmente la descrizione principale dell’impiego dell’arte è scoprire ciò che non si sa. […]
La maggiore influenza sul mio lavoro e sul mio modo di pensare proviene in realtà dai poeti del Black Mountain College. Per quanto riguarda la poesia che ho scritto allora, sono certo che fosse semplicemente una riflessione personale. Non c’è un corpus di lavori, quindi non potrei considerarmi poeta, come Creeley. Ecco, Creeley, è un vero poeta. Che si tratti di una cartolina o del modo in cui formula le frasi, lui ci lavora con le parole. Ha i suoi modi e le sue inclinazioni a riguardo. Capisce la mia scultura, ma questo non fa di lui uno scultore. Ha capito la tecnica dell’ovatta o della compressione? Non necessariamente. Ma la volta successiva che ha lavato i piatti, quando ha stretto la spugna e da un’estremità ed è saltata fuori la schiuma dalla punta del suo pugno, sembrava una scultura. Era a causa dell’una che poteva comprendere l’altra. Poteva ottenere una percezione in più. È la vita quotidiana. È così che mi viene l’idea che tutti facciano sculture ogni giorno, dal modo in cui arrotolano qualcosa, o nel modo in cui gettano l’asciugamano sulla griglia o in quello con cui accartocciano la carta igienica. È tutto molto personale e molto preciso, e in un certo senso talentuoso da parte loro, ma viene scartato come informazione non utile. Ma non è inutile. […]
INTAGLIO (in italiano nel testo)
ho visto che una
nuvola di inchiostro stava oltre-
passando la mia porta, gli uccelli con
i corpi gonfi schizzavano
come calamari fiele
dalla gronda; i germogli di soia
cresciuti nel campo
ristagnavano in decomposizione nello scisto
che non riusciva più
a contenere le erbacce. Io avrei voluto
così tanto prendere le ali e volare via, no; “resta fermo lì!
e procedi merdina.”
Indugia più a lungo sotto l’albero del pero con me,
dal tetto fino al nascondiglio, il nostro nido.
Non c’era scelta, ho intagliato
le mie iniziali sul suo stomaco
con i denti, la mia
prima scultura.
non sono contento
del modo in cui la
poesia viene scritta o
della maniera in cui le parole
cadono sulla carta
sono faticose
sotto un dito torturato
che le preme fuori
come uva sot-
to i piedi
l’aria si ispessisce
nello spazio intorno
su palafitte delicate e
segue le parole che io
appunto al muro. E
alcune parole si incollano bene
in un’atmosfera di cornice
dallo sfondo grigio piombo
che offre una silhouette
non vista dagli occhi.
ma più tardi, ballando in
una stanza rotonda costruita per
avere pareti languorose e
saldate il pensiero è caduto
e mi hai rotto il pollice. io
non sono contento di
sedermi e tenermi
per le estremità? Eccetera
né di sfaldare lo sporco
con un dito integro/ non rotto.
io sono disordinato
non nella forma
nel contenuto della
mia testa, la mia testa
non cade
tra i modelli
paesaggistici di
questa costruzione e
il colpo spezza
la massa come un
martello che rimbalza
su un’incudine.
La selezione dei testi, è della rivista “hyperallergic”, a cura di Elisa Wouk Almino,
le traduzioni sono a cura di Paola Silvia Dolci.
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