Brama

a cura di Giovanna Giolla

 

“Brama” (Giulio Perrone, 2020, pp.240) è un romanzo sulla follia di non aver costruito una propria identità in cui l’io narrante ama e odia solo sé stesso, con entusiasmo, purezza, tenebre, vergogna e agonia. È la storia di una giovane donna che vive ogni singolo aspetto dell’esistenza terrena attraverso l’arte e i suoi disturbi mentali. Perfettamente descritti come solo un medico psichiatra può fare. La lingua di Palomba si è trasformata da “Disturbi di luminosità” il precedente romanzo in qualcosa di più “stabile”, maturo, tecnico e allo stesso tempo vigoroso e senza freni, nell’uso degli aggettivi, e della sintassi in vari passaggi nel flusso di una coscienza psichedelica. I motivi che possono aver portato Bianca, la protagonista, ad essere una foresta di disturbi psichiatrici possono essere molti: un abuso, le droghe, un’ipersensibilità, un’ossessione fin dall’infanzia nell’interpretare i comportamenti umani, senza mai comprenderli, sentirsi parte di qualcuno o di un contesto famigliare e scolastico definitivo, a parte quello dell’arte, dello studio e dello scrivere. Ma questi sono fatti, quello che invece ci fa intravedere l’autrice sono le atmosfere della mente umana, le sfumature e quasi mai come in questo libro esplodono pungiglioni di realtà. L’unico mondo in cui può vivere questa creatura è un mondo che la respinge e l’accoglie quando incontra Carlo Brama: un intellettuale che pare uscito da uno dei racconti de “Il Muro” di Sartre. Lei attraversa i luoghi come fossero persone e viceversa. Carlo è la svolta, Bianca se ne innamora, ma entrambi non amano la vita, godono nel dolore, e sono uniti dal fatto che parlano la stessa lingua, magistralmente composta di simboli, eroi letterari, musicisti, filosofi. Carlo diventa l’eroe prediletto e il rischio più alto di Bianca quando diventa Professore e con un suo saggio conosce il plauso dei suoi simili europei. Mentre si legge questo romanzo ci si trova sotto un acquazzone, non c’è alcun riparo, da questo coro di personaggi che “ribrezzano” e fanno compassione. “Il libro rosso” di Jung è un protagonista fondamentale del romanzo, Palomba lo intuisce e poi lo ha studiato, perciò i brani tratti da questo saggio sono abilmente inseriti. Si capisce che la trama ha una sua naturalezza che scaturisce dal linguaggio e non da una scaletta insipida da mercato editoriale, perciò sorprende, incanta. È debordante. Naturalmente della trama non voglio dire molto: ci sono i ricoveri di Bianca in ospedali psichiatrici, lo sfondo del Salento con le zie felliniane, i genitori non abbastanza visionari, un amore saffico, il quale poco toglie a Carlo Brama. Un affresco di spessore sull’ambiente culturale, editoriale, intellettuale che coincide con scenari simili a quelli di altre epoche dove ancora esisteva l’assoluto, ad esempio Bloomsbury. Ritornando a Carlo e Bianca, non è solo un amore carnale e sadomasochistico, è soprattutto il punto più azzardato nella ricerca della nemesi. Erano tanti anni che non leggevo parole a me così estranee e così vicine, e credo che questo sia un romanzo in gran parte assimilabile al mio concetto di letteratura perciò credo che Ilaria Palomba vi stupirà, e continuerà a farlo.