Silvia Dai Pra’. “Senza salutare nessuno. Un ritorno in Istria”

Silvia Dai Pra’. “Senza salutare nessuno. Un ritorno in Istria” – Editore Laterza. 2019. Pagine 156. Euro 16.

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Ci sono dei libri che vanno letti, perché arricchiscono il nostro punto di vista storico, il nostro lessico familiare: è il caso di questo memoir- reportage di Silvia Dai Pra’.

L’autrice ha un’insufficiente conoscenza delle sue origini, legate alla grande storia, una delle più brutalmente equivoche, sulla quale è necessario fare più luce.
Sua Nonna Iole, che appare depressa e burbera, è il personaggio chiave, da cui partono le ricerche. E’ spesso in collera con il figlio, il padre dell’autrice, anoressico e comunista. Iole odia i comunisti. E non vuole sentire parlare dell’Istria.
Quando nel 1988, il padre porta Silvia, autrice e voce narrante, assieme a tutta la famiglia in Jugoslavia a vedere il Comunismo, Iole lascerà un biglietto in cucina: <>. Silvia all’epoca ha undici anni.
Il Padre vuole mostrare a lei e a sua sorella il Comunismo, regime, secondo lui, nel quale non esiste la droga, i giovani ascoltano musica classica, e tutti hanno un lavoro, una casa e un ruolo ben definito. Qui Silvia sente parlare di foibe per la prima volta. E chiede a sua sorella: <>. << Slava>>. La corregge.

Il secondo viaggio di Silvia avviene dopo la guerra nei Balcani: ormai è un’adulta con una figlia e un compagno. Intanto Iole, la nonna, è morta assieme ai suoi segreti.
Silvia si mette sulle le tracce del bisnonno: Romeo Martini, nato Martincich, il padre di Iole. Perché è finito nella foiba di Vines? “Foiba dei colombi”.
Furono due ragazzi a trovare la foiba, per via di insoliti movimenti dei colombi che li insospettirono: i colombi erano scappati, all’improvviso, a causa del fetore dei cadaveri.
La mattina presto del 16 ottobre 1943, i vigili del fuoco, aiutati da alcune squadre dell’Arsa, scesero a perlustrare quel luogo.

Lo stesso giorno le truppe naziste irrompevano nel ghetto di Roma e deportavano ad Auschwitz milleventitrè persone.

Ma Romeo Martini non aveva avuto rapporti con il fascismo; se avesse avuto una colpa, sarebbe stata quella di essere un commerciante.
Quindi, la colpa di essere benestante?

Pensando a sua nonna Iole e in generale a noi, e alle persone che intervista in Istria, l’autrice scrive:
<>.

Molte di queste fotografie sono inserite nel libro.

Silvia immaginerà di parlare con il fantasma di sua nonna e le dirà: <>.

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Questo reportage crea un incubo più ampio di ciò che è stato.
La scrittura di Dai Pra’ è elegante, energica e non svela quasi mai il dolore e la rabbia.
Perché, come mi ha detto lei stessa: << La rabbia, penso vada filtrata prima di andare nella pagina, o almeno protetta da un velo di malinconia>>.
La malinconia che si trova in questo memoir crea due tensioni nel lettore: il desiderio di conoscere il finale e di comprendere.

Ossia di capire, anche se non si può accettare razionalmente, il destino delle famiglie d’Istria, le quali hanno, quasi tutte, un morto da rimpiangere.
L’autrice va oltre il suo bisnonno e racconta la storia del cimitero di Santa Domenica di Albona, la grande strage della tragedia mineraria dell’Arsa nel 1940: questa parte è testimoniata dalle tombe abbandonate e dall’esodo di questa gente.
Si serve della metafora della famiglia e dei suoi rapporti ambivalenti, per suggerirci che dalla Storia non c’è un’uscita di sicurezza. Definitiva. 

 Giovanna Giolla