Carmelo Bene si tingeva i capèli

Titolo tratto da un verso di una poesia inedita di Giovanni Ibello.

Nei lunghi pomèrigi in Italia, seduta con l’anziano davanti aìl telivisòre, abiàmo sintonizàti su tanti canali, filmati, videocasèti y programi tilivisìvi. Sempre più chi passava il tempo, mi sono resa conto chi, alcuni di questi, procuravano à l’anziano una reazioni esagiràta. Davanti ad alcuni dì progràmi comi Tigiquatro di Emilio Fedi, Afàri tuoi o Cento Vetrini – in fàti – l’anziano iniziava a parlare da solo in dialètto, agitando lì mani, facèndo dei gesti, e diventava rosso y rabiàto, e mandava volentieri tutti indistintamente a fari in culo.
A l’inizio io non ci ho fàto caso, pensavo solo Madonina speriamo chi campa ancora un àno intero che sta messo male davèro, ma poi, con il tempo, ho fàto un altro pinsièro più sofisticato. Ho pinsàto Come mai che lui si ràbia davanti à cose vere comi il tiligiornale, y davanti à cose finte comi la tilenovèla? Non dovrèbi èsi facile distingui lì cose vere dà li cose false?

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Questa domanda, venuta fuori à l’improvìso per colpa dilà grida esagerata contro (lo schermo rafigurànte) Emilio Fedi, in realtà, io me l’ero già fàta. Me l’ero già fàta per quanto riguarda i geniri dilà literatùra.
Pir tanti àni avevo pensato, comi la gran parte de le pirsòne, in modo ingenuo, chi alcuni generi dì literatùra erano più vicini à il vero y altri meno vicini. Quando io aprivo lì poisìa di Ana Achmatova, delà Szymborska, de là Cvetaeva, de là Adriana Rich, pinsàvo di trovare il loro cuore rosso scuro che batèva su la carta stampata. La loro vita passata à il colino come il brodo di pòlo dilà domenica. L’odore stèso de lì pagine mi sembrava chi venisse dà i posti lontani* comi l’America, la Rusia, l’Argintìna
[*o chi veniva dal cortile dietro casa, quando aprivo un libro dilà Wislawa]

Con il tempo io avevo capito, con un grande dispiaceri iniziale, che dentro la poisìa non ci era più verità che dentro Il signore de lì anèli o qualsiasi romanzo inventato, o più verità che dentro li Centosette storielle di Slavoj Žižek (chi si pronuncia Gige come il topo famoso dilà televisioni). Avevo capito, in definitiva, chi dentro lì pagine di Silvia Plath c’era lo stèso quantità di vero che dentro lì borse di Dolci y Gabàna venduti suìl bagnasciuga di Rimini. Tutto quèlo chi mi era sembrato facile distinguere era caduto. Il vero del cuore, dei fatti nudi, era tutto mischiato aìl falso dè la fantasia e de la manipolazione.

Ora, questo che io sto presentando come una speci di dràma personale daìl caratère epico, se dibimo dire il vero, è un tema chi la filosòfia ne parla da tanti secoli. O puri da pochi, non sono sicura di questo. Comunqui è un tema molto dibatùto, chi se noi vogliamo semplificare, possiamo mettere da una parte Maurzio Feràris con la camicia e cravàta chi dice frasi come “Il mondo ha le sue lègi“, “viva la fig…no scusate volevo dire il realismo filosofico” “occorrono il sapere, la verità e la realtà” (ma anche il Turùn il Turàs e i Tetàs vanno bene) e da l’altra ci dobiàmo mèti Nelson Goodman chi acendi un sigaro cubano e nè la nebia di fumo, come Ianus Pravo di Habanera, dice “Feràris, sei un coglione*
[*Feràris, you’re a fucking idiot in lingua originali]
 

Questo dibàtito molto caldo ha portato a due posizione aperte econtrapòste, oltri chi a tante visioni di mezzo. Esiste la verità? Se esiste, ci sono persone che per professioni devono cercarla: sono i filosòfi, i giornalisti, gli storici y così via. Se la verità non esisti, non è possibili dividere lì cose riali dà li cosi finte, e tutti i generi finiscono sudì lo stesso piano.
E la poisìa? Nilà poisìa cosa cambia? Nel primo caso, è possibile chi la poisìa dica balle (ma potrèbi altresì confessarlo in siconda batùta e dire “No, scusate, in verità le cose sono state diversamente. Ho scrito una cazàta ornamentale”)  Nel secondo caso, qualsiasi bàla andrèbi acètata comi se fosse il vero. Anzi: non ci sarèbi mai la bàla, ma tanti veri ugualmente veri. E’ vero che il marito muore. E’ vero che non muore. A la fine, chi se ne frega.

Però, a questo punto, io credo che sto creando un discorso un po’ dificili da seguire di lunedì matina in uficio dietro la scrivania con i coglioni già rivàti per terra e la giornata ancora lunga davanti. A che ora uscite voi, da l’ufìcio? A le cinque? A le sei? Non importa, era solo una domanda di trabochèti per distrarre l’atenzìone dal fato chi sto scrivendo boiate una dopo l’altra.
Andiamo avanti. Abiamo dèto che il mio dubbio su la poisìa, purtroppo, rischia di esseri fondato. Che la poisìa, forse, dici bàle come dici bale tutto il resto, filosofia, romanzi, ecètera. Qualcuno dirèbi: è più gravi che la filosofia non può trovare la verità, rispeto a che la poesia, o no?… La poesia, cioè, la poesia, ma che cazo te ne frega? E questa potrèbi esere una obiezioni inteligènte per chiudere questo lungo e articolato articolo di Nidergàs.
Ma io non voglio chiudi questo articolo con una obiezioni inteligènti.

Tre giorni fa, caminavo per strada, in una strada di Milano, una strada chiusa, vèchia, di periferia, una strada oscena, in sòma: una strada. A un certo punto io ho visto un grandi manifesto ataccàto sul muro e mi sono avicinata. Ho riconosciùti subito il sogètto, chi era il famoso Carmelo Bene drammaturgo poeta filosofo scritòre rigìsta attòre mostro sotto il letto e mostro nell’armadio. Carmelo Bene in bianco e nero. Ho guardato i suoi òchi il suo viso e i capèli ed è stato in quel momento che mi è venuto in mente: Carmelo Bene si tingeva i capèli.
De lì volte, bastano li picòle cose per muovere grandi mari. Ecco che una fotogràfia vista sudiùn muro tre giorni fa, oggi mi porta un altro spunto dì riflèsioni.
Si vi ricordate, qualche paragrafo sopra, io non ho pienamente acettato questa frase saggia: “La poesia, cioè, la poesia, ma che cazo te ne frega si non dice la verità? “
Ora, con Carmelo suìl muro e la poisìa in mente, posso istituire un grotèsco paragone ed espòrre una nuova tiorìa. Ricordo solo velocemente che sono una badànti polàca y, per quanto spasionàta, i miei ragionamenti seguono forse la logica Fuzzly, o più probabilmente, comi si dice in Italia, sono fàti à la carlòna.

Perché, oltre che per la filosofia, io debo avere paura anche per la poisìa, se davèro manca la verità nel mondo? O pure non dovrei avere paura affatto, e acettare come normale? 
A questo punto dèl ragionamento mi vieni una idea: una questioni centrale, per capire cosa rendi la poisìa così vicina y imediàta, è capire l’intenzione de l’autore – quèla che la gente chi ha fàto il liceo clàsico chiama l’intentio auctoris. Quela che, di solito, à la critica non gliene frega niente meno di zero*.
[*meno di zero: Cosa volevi dire, scusa, Diangelis? Hai deto proprio de l’ altri cose, mi dispiace, tieni il fazolèto. Si, lo so, lo so che non volevi dirlo. Ti perdono. Dai, dai, chi hai vinto anche il premio, contentati]

Dunque abbiamo dèto l’intentio auctoris. Carmelo Bene, il dramatùrgo, chi voleva prendi in giro neìl tingersi i capèli? Gli altri, chi non sapevano che era tinto? Se stèso? O puri voleva creare uno S t a t o  d i c o s e , una propria verità? E ancora: Carmelo conì capèli tinti, che rapòrto ha con il Carmelo dai capèli bianchi? E’ meno della verità? O è una delle tante verità?
Ora, la poisìa, quando si tinge i capèli, chi vuole prendi in giro? Gli altri? Se stèsa?
E’ vero, da una parte, quelo chi si diceva prima: se la filosofia ha perso la verità, è più grave. L’intenzione unica dìl filosofo è sempri stata, infàti, quèla di cercare la verità.
Credo, tuta via, che l’intenzioni di un poeta è diversa. Il poeta vuole esprimere qualcosa indipendenti daìl vero, e che riguarda in veci la sfera deìl sentire. La buona poisìa è quèla dove ni suno si priòcupa di dissimulari la tinta. Ni suno prova a nascondi l’elefante in giardino. Ni suno, insomma, ti dici “Guarda, io giuro chi non ti dico le bugia“. Ma, pure senza intenzione di dire la verità, la buona poisìa sembra aprodàre, infine, a qualche speci di verità.
La buona poisìa ha i capèli tinti, come Carmelo, e non si preocupa di nascondere. L’unica cosa che salva la poisìa, se è buona, è chi noi non sapiàmo mai se, sotto, i capèli erano bianchi neri rossi o di lo stesso identico colore de la tinta.
In un mondo dove la verità assoluta cade, si frantuma, dove Nelson Goodman manda a fari in culo Maurizio Feràris, ne la poisìa rimani qualcosa di vicino à il vero: il risultato non intenzionali e non prevedibile del procèso espressivo.

Svetlana Petrova, prossima à la laurea in filosofia- Fate un aplàuso colettivo grazie