Approfondimenti
Che succede se abbandoniamo le biblioteche?
C’è un programma su Al Jazeera che mostra le esperienze di alcuni giovani colleghi a Daraya, in Siria, che hanno rischiato la loro vita per preservare il patrimonio letterario del loro popolo tra le bombe, gli spari e l’agonia. Mi sono imbattuto nel programma lo stesso giorno in cui ho visitato una biblioteca per presentare alcuni titoli della mia casa editrice, la Griots Lounge, al consiglio della biblioteca dello Stato di Imo [uno dei 36 stati della Nigeria]. È stata un’esperienza molto forte. E sicuramente qualcuno ora si starà chiedendo: “C’è ancora una biblioteca nello Stato di Imo?” Sì, c’è – da qualche parte dietro il complesso edilizio dell’Assemblea di Stato. È un ambiente abbastanza sereno, con un parcheggio spazioso, un prato incolto, personale disponibile – ma non brillante – e scaffali che implorano libri.
Sapevate che lo Stato di Imo ha altre dieci biblioteche sparse in diverse aree urbane e rurali? Certo, considerato il degrado in cui si trova la sede del governo di Owerri [la capitale dello stato di Imo], si può solo immaginare in che condizioni versino quelle di Obowo, Orodo, Aboh Mbaise, Afara e Umuhu Okabia. Il declino dell’alfabetizzazione e della moralità è palpabile e non può essere del tutto scollegato all’abbandono delle biblioteche e di tutto ciò che una biblioteca rappresenta. Una biblioteca è più di una semplice collezione di libri. Parla dell’identità e della cultura di un popolo. Si suppone che sia l’apice del ringiovanimento della società. Come disse Carl Sagan, ‘Penso che la salute della nostra civiltà, la profondità della nostra consapevolezza sui fondamenti della nostra cultura e la nostra preoccupazione per il futuro possano essere testate da come sosteniamo le nostre biblioteche’.
Abbiamo imparato a parlare troppo di tutto ciò che non funziona, ma pochissime soluzioni ingegnose vengono applicate per affrontare il fallimento troppo enfatizzato dell’educazione e, cosa più grave, la quasi morta cultura della lettura. Anche se la luce della speranza trema di dolore per ogni ora di negligenza e insincerità da parte del governo e della società, i monconi di quello che era un passato glorioso – per certi versi – sono ancora lì, in attesa che ci sia una qualche rinascita, un qualche intervento organico frutto dei rimorsi, anche miracoloso, di un sistema notoriamente ossessionato dall’incessante avvio di progetti di mattoni e pietra a scapito delle cose che costruiscono il capitale sociale e culturale della sua gente.
È importante che quelli di noi che sono nel settore dell’editoria, specialmente i letterati di nuova generazione, si rendano conto che, come genericamente affermiamo, chi non sa da dove viene potrebbe non essere più in grado di dire dove sta andando. Proprio come guardare il calcio nei bar ci fa sentire ancora bene, come ci appassionano di più i film al cinema che non nel salotto di casa, così leggere in biblioteca può ancora essere un’esperienza surreale. Non possiamo lasciar morire le nostre biblioteche. Sappiamo che le biblioteche possono offrire molto di più dell’essere il letto malato del nostro malato destriero letterario. Prima che la burocrazia governativa riesca a risolvere le solite questioni della modernizzazione dei servizi bibliotecari con cose come gli e-book, il finanziamento del sistema e la motivazione del personale, l’aiuto individuale e aziendale può essere portato in primo piano per aggiornare la collezione obsoleta di libri, includendo quegli autori e quegli editori a cui vengono ora richiesti cospicui depositi di copie delle loro pubblicazioni.
Pochi giorni fa, stavo discutendo on-line con un amico sul ruolo dei libri cartacei in quest’era di motori di ricerca e di esplosione di contenuti. Abbiamo concluso di pari accordo che, forse, non abbandoneremo mai i libri cartacei. Il dibattito partiva dall’idea che internet ha reso l’informazione facilmente disponibile e quindi la lettura di libri così come la conosciamo sarà presto obsoleta e luoghi come la biblioteca potrebbero non essere più necessari. Che ne dite della descrizione di Junot Diaz della biblioteca come “un luogo, una pratica, una tradizione che incoraggia le persone a diventare più umane e incoraggia le persone a connettersi di più con se stesse…”?
Se, come sembra, un’intera generazione sta crescendo collegandosi solo alle pagine virtuali dei social network e dei videogiochi, e forse sui terreni chiassosi dei negozi di scommesse e delle sale da ballo, il rischio di diventare un libro di storia dolorosamente rimosso dagli scaffali ancor prima di poterci arrivare è reale.
Jide Aluka
Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2020 su medium.com
Traduzione Elisa Audino
Nella foto: Jide Aluka, editore nigeriano, con una copia di Do not say it’s not your country, di Nnamdi Oguike, Selezionato da Brittle Paper come uno dei migliori libri africani del 2019 e tra i primi 15 libri d’esordio del 2019
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