Dall’iconoclastia all’arte contemporanea 2

a cura di Alex Cantarelli 

Parte I.

Duchamp, Danto e Weitz.

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2.

Stabilire il valore di un’opera è un’operazione rischiosa perché il valore è dato sempre dall’aderenza a un sistema di giudizio, a un criterio. Il criterio, nel caso dell’arte contemporanea potrebbe essere relativo al gruppo storico in cui una determinata opera è contemplata, ovvero potrebbe avere la forma della domanda “è quest’opera effettivamente un’opera informale o astratta o Color Field ?”.

Ma anche questo criterio è molto semplificante, perché l’aderenza a manifesti non fa di nessun opera una grande opera e spesso i punti di riferimento superati, saltati sono segno di una riflessione ulteriore che porta l’artista non solo a evadere da un ambito o corrente ma addirittura a crearne un’altra, spesso più produttiva. 

Se il valore si attesta sulla capacità tecnica dell’artista anche qui siamo su terreni infidi. Gli esempi contemporanei di video-arte ad esempio utilizzano un medium che è tecnicamente incomparabile con la pittura a olio. La scultura prende in prestito dalla quotidianità oggetti che non hanno necessitato di alcuna tecnica per divenire oggetti d’arte. Quindi, se il criterio di artisticità si fonda sulle capacità dell’artista va inclusa in queste capacità quella di ereditare oggetti ready-made o procedure e di ritrasformare oggetti o parti di oggetti. La tecnica artistica è un valore ma non esiste criterio per stabilire che a una maggiore tecnica corrisponda un’opera migliore.

  

Arthur C. Danto considera necessaria un’analisi ontologica dell’arte.
L’arte come è, non come può essere giudicata (epistemologia) 1 .

  

Afferma Danto che “se si parte dal presupposto che l’arte sia 1 qualcosa di unitario, bisogna dimostrare che quanto la rende tale ricorre nell’arco di tutta la sua storia.” Ovvero che, da un lato, quanto accade nell’arte non è altro che lo sviluppo di un’idea 2 indefinita ma al contempo speciale, che identifica l’opera e la rende tale, dall’altro, presupponendo un’unitarietà dell’arte nel suo sviluppo storico, va cercato il principio che, necessariamente la regola. Secondo Danto l’arte occidentale incappa in un momento determinante, in un cambiamento epocale con l’opera dei fauves, e cita in più luoghi le Demoiselles di Picasso come esempio (1907 è la data della composizione, l’autore tenne la tela pressoché nascosta per venti anni).

Danto affronta, in più luoghi della sua produzione concettuale, il problema della definizione.
Chiaro, nel senso euristico, è l’esempio dei ready-made, ovvero di quegli oggetti “percettivamente indiscernibili” entrati di prepotenza nella storia dell’arte a partire da Duchamp. In cosa consiste la 3 differenza tra oggetto d’arte e oggetto d’uso quotidiano ? O meglio, dove mai si potrà trovare una definizione che consenta di operare questa distinzione ? Perché nell’oggetto stesso non si trova nulla che ci aiuti. Per Danto il fulcro della questione risiede nelle proprietà “relazionali” dell’oggetto, spostando di fatto la questione da un fatto meramente percettivo, con le sue regole però ahimè insufficienti, a un fatto esplicitamente idealistico, fondato su un sistema di relazioni invisibili e in questo senso ideali.

 

La “relazione” o meglio la rete di rapporti ideali che l’oggetto d’arte intrattiene, e che sono pertinenti a esso in quanto oggetto d’arte, rimane per Danto l’unico indizio che ci permette di riconoscere l’arte. Il criterio quindi non può più essere ingenuamente la “bellezza”. Anche in questa apparente, solo apparente, contraddizione con le tesi kantiane sul “bello” risiede l’assoluta rilevanza e attualità della riflessione kantiana. Il “bello” di Kant non è percettivo, né tantomeno individuale. L’ “arte bella” non è un sistema di oggetti che abbia caratteristiche percettive speciali. Potremmo dire che se Kant avesse visto Duchamp ne avrebbe accolto la rilevanza. 

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Note 

1 “Solo ciò che appartiene a tutta l’arte appartiene all’Arte in quanto tale. Vedendo un’opera che lascia interdetti spesso 1 ci si chiede: “Ma è davvero arte?”. A questo punto, però, entra in ballo la differenza tra essere arte e saperla riconoscere. L’ontologia studia le modalità dell’essere, mentre il riconoscere è compito dell’epistemologia – la teoria della conoscenza – sebbene nel nostro caso più che di conoscenza si parli di competenza di un intenditore. Lo scopo di questo libro è contribuire all’ontologia dell’Arte.” vd. Arthur C. Danto. Che cos’è l’arte, Johan & Levi, 2017

2 ivi, Prefazione.

3. cfr. il bel saggio di Giacomo Fronzi, Arthur Coleman Danto. Filosofia, Arte, Bellezza: “se a livello percettivo, sensibile, tra le due ‘cose’ non vi è alcuna differenza, ma l’una è un’opera d’arte e l’altra non lo è, allora tale differenza deve essere ricondotta a qualcosa di slegato dalla dimensione percettiva. Non si tratta, pertanto, di una proprietà che colpisce l’occhio o qualche altro organo di senso, ma di una proprietà indifferente alla percezione, quale è una proprietà relazionale, irrilevabile dai sensi” .