Dall’iconoclastia all’arte contemporanea 3

a cura di Alex Cantarelli

Parte I. 

Duchamp, Danto e Weitz.

continua […]

3.

Nella teoria “volontaristica”, citata peraltro in un famoso saggio di Morris Weitz del 1956 4 Dewitt  H. Parker individua ciò che contraddistingue in senso assoluto l’oggetto d’arte e che differenzia quest’ultimo da ogni altro oggetto. Parker sottolinea come ciò che non riesce a definire in modo esclusivo un oggetto d’arte non possa divenire la sua definizione. Come dire che l’arte è un settore produttivo specifico che non interseca, nelle sue ragioni d’essere, nessun altro settore  5 .

Weitz trova insufficienti tutte le teorie dell’arte, e ne dipana una serie rappresentativa nel suo saggio: ogni teoria mira a definire oggettivamente i limiti entro i quali un oggetto diviene necessariamente un oggetto artistico, ma l’oggettività si fonda su presupposti labili, aleatori e personali.

Weitz si riallaccia a Wittgenstein ed in particolare alla teoria dei giochi contenuta nelle Philosophical Investigations:6 fra di loro gli oggetti di un determinato settore hanno determinazioni e caratteristiche comuni solo parzialmente. Come racchiudere in un tipo unico oggetti che presentano solo alcune caratteristiche comuni ?

“If we actually look and see what it is that we call ‘art’, we will also find no common properties – only strands of similarities.”7 Non solo, ma “I can list some cases and some conditions under which I can apply correctly the concept of art but I cannot list all of them, for the all important reason that unforeseeable or novel conditions are always forthcoming or envisageable.”8

Weitz allora cerca di definire e distinguere fra carattere aperto e carattere chiuso di una definizione.

Una sussunzione logica o una regola matematica ha a che fare con oggetti che soddisfano senza dubbi il criterio: fra i numeri naturali pochi hanno dubbi che “5” sia un numero naturale. Ma come ci si comporta con un oggetto d’arte ? L’esempio di Finnegan’s Wake di Joyce serve a definire come l’estensione dell’ambito “oggetti d’arte” o “novels” nello specifico, avvenga non attraverso la sussunzione di una caratteristica o giudizio logico ma attraverso una sorta di “assonanza”: Finnegan’s non ha ad esempio una struttura dell’opera e del periodo simile ad altre “novels”, eppure viene considerata una “novel” stricto sensu.

Weitz fornisce quindi una definizione “debole” di oggetto d’arte: l’arte, dice, è un concetto “aperto” ovvero un concetto che non si definisce mai una volta per tutte, pronto quindi a ridefinirsi attraverso l’occorrenza di nuovi oggetti che, inglobati nel concetto, ne ridisegnano i confini.

Questa concezione “formalistica” dell’arte, intesa come non appoggiante su alcun concetto oggettivo e definito una volta per tutte, assomiglia molto alla definizione kantiana dell’opera d’arte come viene esposta nella Kritik der Urteilskraft. Definizione debole perché non sa e non può rispondere alla domanda su quale sia concretamente il criterio di inglobamento delle nuove occorrenze.

Nel capitolo V dell’introduzione della Terza Critica, Kant distingue tra valore logico e qualità estetica. La distinzione tra valore e qualità è irriducibile.

Secondo Weitz, Finnegan’s Wake può essere inglobato nel gruppo degli oggetti d’arte perché pur avendo caratteristiche differenti rispetto ad altre novels, possiede anche alcune o molte  caratteristiche comuni.

La nuova caratteristica, non precedentemente considerata come criterio, diviene un nuovo criterio. “If none of the conditions were present, if there were no criteria present for recognizing something as a work of art, we would not describe it as one.”9

Weitz desidera, sulla scorta di Wittgenstein, purificare ogni teoria dell’arte da elementi oggettivi aleatori che divengono necessariamente criteri valutativi. “For many, especially theorists, ‘This is a work of art’ does more than describe; it also praises.”

Ogni giudizio valutativo, secondo Weitz (e 10 questo è l’elemento più originale e interessante della sua teoria) si può fondare su criteri specifici, armonizzazione degli elementi, significatività, coerenza; ma tutto questo è un criterio ulteriore rispetto alla definizione di oggetto d’arte.

In poche parole, il critico non ha strumenti per decidere se un’opera è arte o meno, può giudicarla con standard personali, o condivisi, specifici, ma l’inclusione dell’oggetto nella categoria di oggetti d’arte è indecidibile. “There is nothing wrong with the evaluative use; in fact, there is good reason for using ‘Art’ to praise. But what cannot be maintained is that theories of the evaluative use of ‘Art’ are true and real definitions of the necessary and sufficient properties of art.”

Secondo Weitz l’errore capitale di ogni teoria dell’arte sta 11 appunto nel trasformare il criterio di artisticità in un giudizio sulla buona o cattiva arte, o addirittura nello scomodare teorie dell’arte per dirigere la vita artistica verso orizzonti precisi, recuperi stilistici, settori. Una ricerca del fondamento che si trasforma in criterio condizionante.

continua […]

Note

4. Morris Weitz : The Role of Theory in Aesthetics, in The Journal of Aesthetics and Art Criticism, Vol. 15, No. 1 (Sep., 4
1956), pp. 27-35
5 D. Parker, The Nature of Art, reprinted in E. Vivas and M. Krieger, The Problems of Aesthetics, (N.Y., 1953), p. 90
6 Ludwig Wittgenstein, Philosophische Untersuchungen. Philosophical investigations, a cura di G.E.M. Anscombe e Rush Rhees, Oxford, Blackwell, 1953, 1958 trad. it. Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche, tr. it. di Renzo Piovesan e Mario Trinchero, a cura di Mario Trinchero, Torino, Einaudi, 1967.
7 Morris Weitz : The Role of Theory in Aesthetics, pg. 30
8 ibid.
9ivi pag 34
10ibid
11 ivi pg. 35

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