Recensioni
D’AMATO/FISCHEROVÁ
TRENT’ANNI SOGNATI IN CAMBUSA
(Federica D’amato – Avere trent’anni – Ianieri edizioni, Pescara 2013)
*
Adesso che ho quasi trent’anni
e mi sembra d’averne vissuti uno
uno soltanto nel giorno di Versilia
in cui dissi sì alle lampare invadenti
all’amo a caso schizzato nel giallo centrale
sì alle talasse intra le ciocche ragazzine
che ridevano e ridevano Adriana a vent’anni,
sì a tutto quel che doveva morire
sì a tutto quel che doveva incontrarsi
uno, uno solo è l’incontro di noi verso
quel sì che scegliemmo e fu una voglia
di sangue, in Versilia, giorno di settembre
giorno in cui tutto ebbe fine.
*
Oggi volge alla pioggia il cielo
i miei occhi dentro scivolano
dalla piena in su alla cascata.
L’autunno volge alla pioggia
penso mi scappava un ridere
in parlamento nessuno mi vedeva
i trentenni non li vuole nessuno
ridevo perché scappavo dentro
qui almeno io mi vedo chiaro.
Chiaro o scuro che sorrisi abbiamo
ragazzi quanto chiarore nei mattini
interi a circumnavigare provincie
seguire trasognanti gli occhi i fili
dei tram come si piangono i profili
delle foglie che volgono all’inverno.
Che innocenza ragazzi
noi sansebastiani da quattro soldi
noi che pagheremo le stagioni amare
torneremo oggi nella pioggia
a tirare palloni, tu in fondo disegna
la porta il quadro magico della soglia
tu punta di stelle preparati a giocare
anche se piove preparati
ad entrare nel tempo
a segnare per sempre.
*
A trent’anni capii che l’unica calma
non dico gioia non dico
o no!
non dico quiete, maturità raggiunta –
l’istante di silenzio soluto
perfezione dei mondi
incontrati una sola volta,
l’istante che prepara l’aprirsi della piena
dove poi non c’è un volto da salvare
ma la sola ragione è la furia che affonda
l’unica calma era scrivere.
A volte.
Lo capii tardi perché tutto era da sempre
in ritardo sulla via degli infuocati
bottoni urlante giovinezza
– ragazzina che muore se le soffi dentro
un po’ di male dicendole che è bene.
Tutto in ritardo
non si può sopportare lo stato
che non capisce i pervertiti dolori
delle fanciulle sfiorite in meno cadenti
fanciulli, tu anagrafe fai più danni
della morte che assiste
questo ritardo d’ispirazione.
La prima riga aveva sempre cento anni.
*
Se esci e non vedi il mare
è perché dentro hai un fermo
più grande di qualsiasi altra passione
di fare il corno o il boia
a ore sulle soglie della noia.
Dentro pioggia o gioia
non fu questione, profusione delle nubi
– sulla spiaggia piangeva anche la sabbia –
nascere in cima al Corno Grande
a sud dell’Unicorno
ma ad ovest di un meridiano sbagliato:
fu nascere con una complicazione
magistrale nella testa
la pressione fiscale in anticipo sul nome,
in eredità da giganti dal padre
delle ultime cose e il governo
fu più che magistrale,
gli inviti esclusivi alla festa
finale.
Fu nascere
spezzandosi un ago in vena a colazione
traversare a piedi città nazioni continenti
urlanti la direzione sbandata del mare
e sulla strada Emmaus più non sorrideva
e sulla strada Emmaus
– ragazzo di stracci col nome tatuato di ddio –
spacciava la sola
ragione di continuare ad essere morti
pioggia boia o noia ddio ha sbagliato la dose.
*
Forse oggi si cresce a caso
ma rinunciare alla forza è sacro
soprannaturale tacere sopportare
questo caso invernale di dolore
ogni strada un presagio d’addio
le cabale del tuo sorriso
abbacinante legno del radioso.
A trent’anni accade proprio questo:
le rocce fioriscono di memorie
e la Bitinia della tua infanzia cade
se arriva la dea a divinarti la fronte,
volpe che finalmente attraversi
la porta di avorio nel libro delle ore.
UNA BAMBINA MAI NATA
(Viola Fischerová, Brno 1935 – Praga 2010)
***
E talvolta le si avvicina
il figlio non nato
Ha i capelli biondi del suo nonamore
e lo stesso sorriso gli stessi denti
Rimane ma non parla mai
E lei non saprà
in quale grembo e abbraccio sia venuto
quel che doveva venire da lei
il figlio a cui ha negato un mirtillo
e non ha dato neppure la palla
che del resto ha portato davanti a sé
non certo dentro di sé
***
Il tuo natale ricopre
un tavolo vuoto
con due candele
Ma chi mangerebbe
da piatti passati
e si ubriacherebbe da bicchieri di prima
Neppure al cane piacciono
queste ossa senza cena
I vicini intonano canti natalizi
tra poco nascerà per noi
E tra qualche mese morirà
***
La porta di casa
ingresso in una ferita aperta
Le scale brillano
Né una goccia di sangue
né una piccola piuma
Tutta la nostra vita
è durata sedici anni
e si è svolta in tre camere
***
E questa sono io?
Senza fame non sazia
senza vestiti non nuda
sola sotto le ali
di un cigno nero
con cui sei
una cosa sola
***
Ad Antonín Brousek
La mattina salutare il vecchio melo
davanti alla finestra Non sei solo
se hai un gatto e un cane
ai piedi la chiusa che scroscia
e trabocca di continuo
il fulgore del tramonto tra le fronde
quando di sera vado
al cimitero alla tomba
come a casa
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