Descort

Mi dicono che non devo dire “Madonna troia”. Sarebbe sgarbato. Ecco, una maniera garbata per dire che è volgare. Ma, a parte che “seeking Virginity, May find it in a harlot” lo diceva William Blake, non è solo questo.
Io ho in me un “descort”, un disaccordo. Il descort è un componimento poetico medievale, della letteratura provenzale, caratterizzato da un polimorfismo metrico, da rime irregolari, Raimbaut di Vaqueras scrisse “Ara quan vei verdejar” utilizzando per ogni cobla, per ogni strofa, una lingua differente, cinque lingue per una poesia.
Il descort si rende manifesto anche nel contrasto tra la disperazione del testo e la musica che si eleva allegra.
Io ho in me un disaccordo, una specie di pausa nel vedere, un’interruzione del flusso del vedere.
C’è un poeta giapponese del quindicesimo secolo, si chiama Ikkyu Sojun. Ikkyu vuol dire pausa.
Io sono un ingenuo. “Un ingenuo recita una poesia davanti alla porta di una casa di piacere e poi se ne va”:
“Una ragazza del postribolo non ha pensiero, ma ha pensiero.
Un poeta si eccede in versi, così come eccede il suo eccesso di desiderio.
Dopo una lunga pioggia, schiarite ad occidente, e una canzone all’imbrunire.
Bellissimo, con molto sentimento, l’uomo continua a recitare appoggiato alla porta”.
Una ragazza del postribolo non ha pensiero, ma ha pensiero.
Vi è un descort, un disaccordo, un contrasto tra l’atteggiamento Zen della prostituta, pensare senza pensare, udire senza udire, vedere senza vedere, sentire senza sentire, e quello dell’amante che si eccede nel desiderio.
Ikkyu Sojun ha scritto “Poesie di un monaco libertino”, e dire monaco libertino non è forse come dire madonna troia? Dove la Madonna è la ragazza del postribolo che non ha pensiero, ma ha pensiero, e la troia è il poeta nel suo desiderio.