DIRE, FARE, BACIARE. LETTERA

a cura di Ianus Pravo

Caro amore mio dolcissimo,

io amo la tua nudità dove la nudità ci annienta. Perché, quando davvero siamo stati nella nudità? Ahia! Ché s’anco ‘l duplice stamore / spoglio si fosse de le streghe vesti / che? come? disvestir la pelle ‘l nudo / de ‘l nudo e de la pelle ‘n l’infinir. La nudità è impossibile nell’immagine. Il volto è in prestito, lo sguardo è a credito, e il discorso è il discorso dell’altro, il vedere è il vedere dell’altro. Abbiamo tutto in prestito, siamo ebrei, e tutto dovremo restituire. L’incasso del credito, l’usura, sono originariamente attivi. Ciò che bramo è con me: la ricchezza mi ha reso indigente. La nudità nell’immagine è una maschera, una maschera in scena. Ma la nudità tua che io amo è una nudità oscena, la maschera estrema: la maschera senza scena, senza sguardo, senza credito. Senza sguardo perché esposta, pro-istituita, davanti allo sguardo dell’uomo che non le trova dimora, scena, finanziamento. Trova soltanto il proprio debito, la propria cecità. Voliamo, amore mio dolcissimo. Il volo della maschera ha strappato la faccia, sulla maschera il sangue ne è simulacro, resti di faccia sono maschera sulla maschera in volo. Perché il volo è alto a non permanere in maschera ridendo di pietà sulla faccia straziata: la nudità del volo è la straziata maschera che la faccia ha ascoltato strapparle lo sguardo.

Amore mio. Io amo la tua nudità dove la nudità ci annienta.