DIRETTORE DI SCENA

a cura di Marta Lìmoli

TECNICI TEATRALI.

ANIME MATERICHE. INOSSIDABILI PRESENZE.
DIRETTORE DI SCENA: PROFESSIONE PIVOT MOUVANT.

“..calcando i pravi e sollevando i bravi” figure esemplari per il teatro avviano degni eredi per tener alto lo stendardo della categoria.

 

  

Correttezza, precisione, prontezza di riflessi e senso estetico, qualità fondamentali per intraprendere il cammino verso la professione di Direttore di Scena. La vera scuola: il lavoro stesso e antichi precetti che si tramandano. Due grandi conoscitori dei ferri e dei segreti del mestiere: Enzo Di Stefano e Armando Sciuto, operano al Teatro Stabile di Catania. Si distinguono per la passione di cui nutrono ogni loro azione sul campo. Enzo Di Stefano, quarant’anni di carriera, ha al suo attivo oltre 200 messe in scena; ha girato l’Italia e il mondo con spettacoli storici come Pipino il Breve per la regia di Giuseppe Di Martino, Liolà, Il berretto a sonagli, I Viceré, A ciascuno il suo e tanti altri “Il nostro mestiere offre spesso occasioni di visitare posti e teatri nuovi, si ha l’opportunità di misurarsi con realtà completamente diverse; ciò è emozionante e molto costruttivo.” Un Direttore di Palcoscenico dev’essere autorevole per il grado che ricopre senza eccedere nella severità, abusare del proprio potere, bisogna avere un carattere forte ma amabile e saper controllare la misura del tutto, giusto? Di Stefano dà una risposta esemplare: “Non saprei e non potrei svolgere i miei compiti senza basarmi su queste caratteristiche. Agli inizi si agisce naturalmente con irruenza, col tempo s’impara ad essere più saggi.”
Pensa potrà ancora scoprire qualcosa nonostante l’esperienza? “Ogni debutto, ogni singola replica danno l’opportunità di imparare. Ho avuto il privilegio d’iniziare a lavorare con veri e propri mostri sacri del teatro: Mario Giusti, Turi Ferro, Mario Lodolini, Lamberto Puggelli e altri grandi teatranti. Ognuno di loro ha trasmesso qualcosa di pregevole: Educazione Teatrale innanzi tutto, oggi parecchio rara.”
I giovani sono indubbiamente nuova linfa, hanno dalla loro l’avvento di nuove tecnologie lavorative che stimolano ad impegnarsi in maniera diversa, ciò aiuta ambedue le generazioni a dare sempre di più a questa bellissima professione; durante le lezioni tenute ai Corsi di Formazione ha messo in pratica scambi d’idee, rigore ed energie costruttive. E le donne? “Non vedo alcuna differenza in questo specifico, si possono creare delle difficoltà nel momento in cui si presenta l’esigenza di sollevare manualmente dei contrappesi, ma è un lavoro d’équipe il nostro, si trovano delle collocazioni molto funzionali per la donna.”
Dell’ambiente teatrale non accetta l’ipocrisia; il teatro non è l’unico posto dove vige l’ambiguità, però si rende più evidente. Fra i doveri e diritti fondamentali e imprescindibili: il rispetto comune, reciproco, verso tutte le persone che costituiscono la Compagnia, poiché questo bene porta positivamente al fine ultimo per cui si lavora: lo spettacolo.
Di Stefano ha dovuto multare degli attori. “È molto sgradevole. Se si arriva a tanto è perché qualcuno ha assunto un comportamento poco serio e bisogna ricondurlo ad una disciplina più opportuna.” Fra gli spettacoli maggiormente coinvolgenti per difficoltà di preparazione e di esecuzione: I Malavoglia, per cui si provava 20 ore al giorno, Filottete al Teatro Greco di Siracusa per le sequenze molto articolate di cambi di scena (anche una vasca colma d’acqua sulla quale navigava una zattera), elementi di dimensioni enormi da spostare, marchingegni da far combaciare, un’infinità di attrezzeria da posizionare e tener d’occhio, effetti luce, fumogeni e tante altre cose da eseguire in tempi strettissimi. Stare in quinta è una prova continua con sé stessi e con gli altri. Enzo Di Stefano, appena può, va a vedere altri spettacoli, non si priva di esaminare impianti scenici, osservare la struttura di un teatro, i meccanismi di cui è dotato. Aver lavorato con i Maestri T. Ferro e L. Puggelli gli ha fatto capire cosa significa responsabilità.
Dietro le quinte come in laboratorio, l’intuito ha ruolo di rilievo, oggetti che costruisce insieme ad Armando Sciuto, in origine provvisori per le prove, vengono accettati dai registi, diventano definitivi e vanno in scena; con semplicità spesso si risolvono problemi e la creatività vince sulla tecnica. Di Stefano e Sciuto si pregiano di esser stati la squadra tecnica più giovane d’Italia. “Lavorare con Armando dà sicurezza assoluta a tutti quelli che partecipano ad uno spettacolo dove c’è anche lui.”
Interviene Armando Sciuto: “A volte ci si perde in teatro ma non ce ne si accorge, tanto vi si è attaccati.”
Sciuto è capo attrezzista e rammentatore: Arte, questa, che va perdendosi. Conosce gli espedienti per il suggerimento ad hoc; i tempi di una perfetta imbeccata fanno parte del suo corredo. Al fianco di Turi Ferro fino all’ultimo, angelo custode a pochi passi di distanza, accanto al boccascena, mimetizzato tra le quinte, ormai in rapporto simbiotico.
L’emozione più alta? “Centinaia, migliaia le cose che potrei raccontare.. ma talmente private che preferisco non dire”. Una continua lezione gli anni di tournée con il Signor Ferro; sul palcoscenico un Maestro estremamente esigente, pretendeva la perfezione, fuori dalla scena un grande papà.
“Non gli sfuggiva nulla. Incitava a dare il massimo. Era duro con sé stesso, con la moglie, la signora Ida Carrara, con le attrici di famiglia Franca Manetti e Maria Tolu, con i figli Guglielmo e Francesca; per il teatro si è dato completamente. Mi diceva: ‘Vedi Armando, io recito per queste persone (parlava del pubblico), io do loro una cosa e loro me ne danno un’altra. Se per caso si distraggono vuol dire che qualcosa non va in me! Questo credo sia il mestiere dell’attore. Cercare di capire, carpire l’umore che c’è nel pubblico in sala.’ Lui recitava esclusivamente per gli altri.”
Il mestiere di tecnico si sceglie per passione, a volte no, ma di sicuro si decide di continuare a farlo per la vita durante il corso degli anni. Diventa routine? È possibile rinnovare l’entusiasmo? Sciuto nasce come suggeritore; è ‘abituato’ a stare in stretta relazione con l’attore, ne intuisce l’umore, capisce i tempi ma ciò non diventa assuetudine. Superare un’ennesima difficoltà premia il piacere di fare. Il teatro dev’essere una comunione per il fine comune: un buon prodotto, un buon frutto. Corto circuito, quinta che crolla, oggetto che sparisce, fondale che non cala, ‘vuoti di scena’: piccoli o grandi problemi che insorgano, si deve cercare il modo di colmare quel vuoto che si crea per incidenti di percorso; gli è capitato di sostituire in extremis un interprete.
“Mentre si è con la borsa di cuoio coi chiodi e il martello intenti a montare un praticabile o ad aggiustare un pezzo di attrezzeria, sentirsi dire: ‘Togliti tutto, indossa l’abito da prete!’ dover entrare in scena in fretta e furia al posto dell’attore indisposto è un esempio lampante di com’è questo mestiere. Altro episodio, quando in Il berretto a sonagli Turi Ferro mi comunicò che avrei sostituito Fioretta Mari nel ruolo de La Saracena. Così, in jeans e scarponcini, col copione in mano, feci finta di leggere le pagine; sapevo tutto a memoria ma non potevo darlo a vedere, da rammentatore che subentra all’ultimo momento era giusto leggere!”
Interviene Enzo Di Stefano: “Armando Sciuto ha un sistema unico per suggerire: molto poco a parole, praticamente a gesti. Un alfabeto proprio, linguaggio indefinibile che però tutti intendono!” Sciuto narra le sue gesta: “Ho cominciato in ‘buca’ più di 40 anni fa; è un metodo che nasce per caso. Oggi gli attori studiano molto, si attengono religiosamente al testo scritto, non si usa più andare a braccio ma è comunque il suggerimento a riportare sulla retta via quando – per un motivo qualsiasi – si perde la battuta. Sintetizzo un periodo, una parola, in un gesto e porgo agli attori un simbolo immediato che permetta di riattaccare; siamo legati da un filo impercettibile. Cerco di non dare mai un colore all’interno della battuta, posso assumerne il tono che hanno ripetuto in prova e gioco ad interpretare il loro pensiero, inserirmi in una pausa, afferrarne il respiro; anticipare il bisogno. Raccordo le battute ai movimenti codificati, per indicare loro – in un attimo – una sequenza scenica; per seguirli tutti è necessario correre da un lato all’altro del palcoscenico con molta attenzione ma anche sperimentare nuovi ‘appostamenti’: sdraiarsi a terra, salire su una scala, per non dare impaccio agli addetti che si muovono nel retro palco.”
Non fa differenza amare il proprio mestiere e il Teatro in genere. La sua professione è il teatro, non potrebbe farne a meno. Una fortuna, dice Sciuto, aver conosciuto tra le realtà filodrammatiche per lo più catanesi, figure quali Umberto Spadaro, Michele Abruzzo, Ave Ninchi, Leo Gullotta, i fratelli Castorina – questi ultimi i primi maestri di Turi Ferro. Loro, figli di Angelo Musco, Rosina Anselmi, hanno ‘dettato il passo’. Intenso il suo rapporto con la creazione manuale; dà una sensazione speciale. Utilizza materiali naturali e sintetici, cartapesta, resina, poliuretano, ferro, manipolati e trasformati risultano una buona soluzione funzionale; l’elemento principe è il legno: “Il mio motto è ‘far l’oro col nulla’: un oggetto qualsiasi, raro a trovarsi, antico o di nuova concezione, può essere realizzato con poco cioè con i materiali poveri, appunto. Da capo attrezzista devo seguire indicazioni ma anche mettere del mio, spremere il cervello per esaudire i desideri degli scenografi. Ho seguito più di 300 spettacoli, l’età comincia a farsi sentire.. Ma quando si vede crescere un oggetto sotto le proprie mani è gratificante, l’equivalente dell’applauso per l’attore; parte di quel successo, anche se piccola, è anche nostra. Vogliamo far arrivare al pubblico i nostri valori, coinvolgerlo.”
La ricetta? Coscienziosità. Il laboratorio raccoglie elementi di scena, modellini, libri, pupazzi, maschere. Quasi un museo. Incredibile! Come il Teatro: è incredibile. Quando s’apre un sipario il gioco degli equilibri sorvola misure infinitesimali di giustezza e armonia, il magico rito si replica volta dopo volta; una disattenzione, l’impasse, potrebbero oscurare la bellezza di un lavoro preparato da tempo, offendere il pubblico, deconcentrare gli attori, intaccare la propria professionalità. Sull’infallibilità è bene non contare ma si può eludere con serio impegno. Parola di grandi esperti.
Oltre i riflettori che esaltano l’opera artistica e ingenerano realtà illusoria e azione, dietro le telette, vestiti in nero, occhi proiettati sullo spettacolo, si muovono al buio, passi felpati e fiato sospeso: uomini luce sul destino di un “Signori chi è di scena!”