E TUTTO PUO’ ESSERE UN SICILIANO (TRANNE CHE…)

Se volete bearvi gli occhi e qualche miliardo di connessioni neuronali così da creare un cortocircuito nella direttiva occhi-cervello-cuore (o occhi-cuore-cervello, se preferite) non potete non visitare la mostra antologica dedicata a Ferdinando Scianna dal titolo “Viaggio racconto memoria” in esposizione a Forlì ai Musei San Domenico fino al 6 Gennaio 2018 (ma visitabile durante il 2019 a Palermo, alla Galleria d’Arte Moderna, e a Venezia, alla Casa dei tre Oci).
In totale le fotografie esposte sono circa 200, interamente in bianco e nero e sotto la cura di Denis Curti, Paola Bergna e Alberto Bianda, e corredate dalla scrittura – davvero mai banale, e sul crinale di essere essa stessa letteratura – di Scianna in diversi pannelli presenti nelle sale, un documentario video che è anche intervista, e soprattutto da un’audioguida ricca e piacevolissima in cui la voce dello stesso autore ci guida lungo il racconto della sua opera.
Una mostra antologica impegnativa, non in quanto difficile, ma perché impegna i sensi e i sentimenti: non può non essere osservata e ascoltata in meno di due ore, non può non essere sentita nella carne da chi è nato o proviene o semplicemente è innamorato della Sicilia.
Una Sicilia come sempre invadente e che allaga le opere di Scianna forse anche quando non è il soggetto né il cosiddetto sfondo delle fotografie, una Sicilia che lo spazio se lo prende da sé anche quando l’autore riprende il Sud America o la Spagna.
Un’isola ricostruita dall’immaginazione, dal ricordo che fissa l’obiettivo (“Noi siamo cambiati e la nostra Itaca è scomparsa. Ma quella che ci ostiniamo a cercare è l’altra, quella che non c’è più”, così lo stesso autore in uno dei passaggi dell’audioguida)

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Una Sicilia che è invenzione e farsa, falso d’autore: non nel senso che è artefatta e rappresentata secondo una narrazione che ormai è stereotipo, ma una terra che ormai non corrisponde a quel bianco e nero, un’isola molto meno arcaica di un tempo e molto più affossata dall’industria del turismo, e Scianna sembra essere convinto di questa narrazione altra perché sembra suggerirci come era in un tempo poi neppure così remoto; sembra sibilarci all’orecchio una bellezza che rischia di perdersi, ci mostra una Sicilia diretta da una religione pagana che inizia solo da qualche decennio a fare i conti con quella modernità che rischia adesso di ingoiarla (“Non si va via dalla Sicilia. Si fugge”, così Scianna).

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È la religione infatti, o meglio ancora quel misto di paganesimo e cristianesimo radicato nell’isola ad essere il primo soggetto dell’autore la cui pubblicazione d’esordio è proprio in coppia con Leonardo Sciascia nel libro “Feste religiose in Sicilia” (“Poiché è soltanto nella festa che il siciliano esce dalla sua condizione di uomo solo”, così Sciascia).
L’autore di Il mare colore del vino di Scianna amico lo è stato e non si può non ammirare in tutta la sua perfezione la celebre fotografia – raccontata con puntualità nella video intervista visibile in sala – presente in una delle sezioni della mostra dedicata proprio ad alcuni dei personaggi ritratti dall’autore di Bagheria (su tutte un’evocativa immagine di Buttitta e delle sue ali), così come importante per la sua storia personale e lavorativa è stata la figura di Henri Cartier-Bresson secondo cui l’opera del fotografo deve rimanere una testimonianza invisibile, e quella – durata diversi anni – come fotografo di moda inizialmente per un duo di stilisti ancora sconosciuti quali erano Dolce & Gabbana in una campagna in cui l’indossatrice Marpessa Hennink si è rivelata una vera e propria musa.

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Ma come accennato il talento di Scianna non è solo nell’occhio, ma nello sguardo, uno sguardo che diventa narrazione, ma anche narrativa, così gli interventi scritti disseminati lungo le sale e i commenti audio e video dell’autore sono sassi perfettamente levigati, fra cui spiccano perle quali: “Il sole mi interessa perché fa ombra” e “Ciò che ci permette di vivere e andare avanti non è il ricordo, è l’oblio”.
Ciò che stupisce del genio di Scianna è l’indiscutibile capacità di leggere e reggere i sentimenti altrui, delle persone ritratte come dei luoghi, dei sentimenti che ognuno trascina con sé.

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Scianna tenta più volte di discostarsi dalla sua Sicilia, ma è come tentare di non ustionarsi al sole agostano di mezzogiorno, il suo è un eterno ritorno alla sua terra, una eco delle sirene che diventa condanna: c’è Sicilia perfino nel celebre e densissimo reportage da Kami, città boliviana, o da Lourdes, ma anche negli stessi ritratti di personaggi famosi (Borges che punta gli occhi al sole di Palermo), e come dichiara lo stesso autore: “Tutto può essere un siciliano tranne che leggero”.

«Se parlo tanto spesso dei Siciliani vuole dire che essi sono per me il migliore argomento; e se ne parlo con tono di scherzo, vuol dire che l’affetto, che mi lega ad essi, è tale che io devo difendere la mia serietà con lo scherzo. Difatti, se nel parlar di loro non mi appigliassi in fretta e furia ai loro difetti, difficilmente riuscirei a sostenermi: i miei occhi si riempirebbero di lacrime, e le immagini di una emozione tutta meridionale affollerebbero il mio discorso, il quale andrebbe lentamente a fondo come una barca troppo carica.
È buon consiglio, quando si è molto innamorati, guardare l’ombra che fa il naso “di lei” sulla guancia destra o sinistra, e la piccola cicatrice che un antico foruncolo ha lasciato sul suo collo perfetto: solo in questo modo, i sentimenti scendono a un grado sopportabile. Io non dirò che sono innamorato del popolo siciliano, ma ne sono senza alcun dubbio amico, parente e ammiratore in tale misura che, per abbassare questi sentimenti a un grado più decoroso, devo continuamente guardare al vestito nero, al passo lento e strascicato, ai fiori all’occhiello, ai grossi parapioggia, insomma a tutti i loro piccoli difetti che anch’essi, fra l’altro mi diventano amabili tra le mani».

– V.Brancati, I piaceri della maldicenza –

(Testo e immagini di Giuseppe Rizza, fotografie di Ferdinando Scianna)