Recensioni
Fumetti fra Annabel Lee e Jean Vigo
a cura di Giorgio Galli
Esordio dell’associazione Laputa come casa editrice, Days è un fumetto articolato in due racconti. L’autore, Luigi “Bigio” Cecchi, si è fatto notare per una raccolta di racconti, Il karma del pinolo (Del Vecchio Editore, 2015) e per le brevi strisce satiriche di Drizzit. E’ un talento della scrittura breve, e questo fumetto lo dimostra. Le due storie sono tra loro indipendenti: sono legate solo dal filo misterioso che lega le scritture ad altre scritture. Il primo racconto è una riscrittura del Beowulf con un protagonista antieroe, un protagonista che vuole vestire i panni dell’eroe senza averne le doti, e si consegna, di ingenuità in ingenuità, alla propria morte. Il secondo è la storia di un amore che sopravvive alla morte: una morte ben nota alle cronache contemporanee, in un attentato terroristico, e che chiama in causa conflitti etici inestricabili, conflitti di valori e di culture, ma chiama in causa anche Annabel Lee, la poesia di Poe dedicata all’amore immortale. Cecchi non si preoccupa di dare alle sue storie una verosimiglianza narrativa, non si preoccupa di chiarire tutti i passaggi: il suo interesse è rivolto tutto all’evocazione, all’atmosfera. Un che di incomprensibile, di irrisolto, aleggia sul fumetto come un destino inevitabile. Il fumetto è una danza di immagini e parole, una danza di forme da cui scaturisce, con tesa economia di mezzi, un’immagine dell’eroe come essere spinto da nevrosi inafferrabili: non come nelle narrazioni antiche, ma semmai come nel Lawrence d’Arabia di David Lean. Cecchi dice che le due micro-storie sono nate prima delle loro intramature letterarie, che l’associazione con Beowulf e Annabel Lee si è presentata solo in un secondo momento, a scrittura già avanzata. E che l’economia dei mezzi è dovuta al fatto che i due racconti sono nati all’interno di un concorso in cui bisognava disegnare per una giornata intera. Sia come sia, la scarnità di questi racconti arriva come un’inquietudine: è scioccante, disturbante. E’ qualcosa che sfugge al nostro controllo, come un’opera di letteratura raggiunta con mezzi che non sono della letteratura.
Di tutt’altra grana è A cena con la regina di Rutu Modan (Giuntina, 2014). Una bambina viene continuamente rimproverata dai genitori per il suo modo poco ortodosso di mangiare. Riceve un invito dalla Regina Elisabetta e si ritrova catapultata nell’atmosfera della corte inglese. Ma non sarà la corte a cambiare la bambina: sarà la bambina a modificare i severi costumi della corte. Fatto essenzialmente di immagini limpidissime, questo di Rutu Modan sembra un fumetto per bambini. Ma nessun genitore proporrebbe al figlio un fumetto che elogia la “maleducazione”. In realtà, è una piccola storia condotta come una poesia, sorridente, anarchica e liberatoria, cui fa da motore l’impulso a sovvertire ogni regola di buon senso. Anche qui ha poca importanza la trama. L’importante è l’atmosfera di festa che si libra. Una festa inquieta, che poggia su una ritmica incalzante, e che nella sua tenera, surreale irriverenza ricorda il Jean Vigo di Zero in condotta.
Solo che Rutu Modan, non disponendo né del sonoro né del movimento, e usando con estrema parsimonia le parole, deve realizzare l’effetto poetico solo attraverso l’ariosità dell’immagine: un’immagine semplificata nei contorni e nei colori, del tutto diversa dall’immagine romanzesca del suo precedente La proprietà (Lizard, 2013). Anche qui, un piccolo capolavoro ottenuto per sottrazione, solo che quella di Days è una sottrazione tormentosa, che rende incandescente un rovello, mentre qui si rimane lietamente vuoti, con un esaltante pugno di mosche in mano, come alla fine dei capolavori di Fellini o, appunto, di Jean Vigo.
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