Approfondimenti
I soldi del nòno – ovvero: cosa può (e non può) acadère cercando di combàtire il monopolio
Questo articolo di Nidergàs comincia che sono a un bar, lunedì pomerigio, seduta davanti a un prosèco, a godermi il caldo mentri l’anziano gioca a briscola al tavolino di fianco. Lo guardo che fa i segni con la bòca come un cretino, per vinciere la partita e portari a casa la coppa e il parmigiano stagionato ventiquàtro mesi, e penso Madòna è proprio un cretino. Poi guardo la genti intorno y penso Madòna sono proprio vèchi – infine, senò rischio de adormentarmi, apro con impeto un quotidiano chi trovo li vicino.
Lo sfolio una pagina dopo l’altra, finchè arivo che mi trovo davanti la fotogràfia del famoso scritore italiano Umberto Eco. Umberto seduto, con il malioncìno rosso, la cravàta (lui meti sempre la cravàta per faci la bèla figura in publico), e il giubòtino aderente*.
[*aderente: imposibile chi tu trova un capo di abiliamento non aderente a Umberto]
Il titolo, scrito in grandi, dice “Siamo pazzi, diciamo adìo a Mondazòli“
Questo articolo, debo dire, me incuriosici molto e inizio a lègere. E’ sempri interesànti vedere cosa sucèdi ne l’editoria italiana, perché è una speci di mondo paralèlo à la politica – dove politica, soldi, potere, amicizie leteràrie, citazioni, e climax ascendenti si frullano tuti insieme come in una sorta di zùpa boršč avanzata de la setimàna prima. E beni, scopro così chi il famoso editore italiano chi si chiama Mondadori – guidato da Marina Berlusconi – ha comperato da poco più di un mesi il grupo editoriali RCS di Rizòli. Un grùpo famoso e ricco, quotato à la borsa di Milano.
Quando ho dovuto spiegàre a zia Ana, al telefono, cosa era successo con queste casi editrici, è stato facili. Le ho deto “Zia, imàgina Silvio Berlusconi chi vuole comprari tùto, le putàne, il silenzio de le putàne, i giudici, il silenzio dei giudici, e dopo Mediaset anche le torri Rai, e magari le tori gemèle chi sono cadute e acidenti non le può comprare, e Sky, si anche Sky – cioè il cielo – y poi il mondo intero tuto quanto, ecco, metigli il botulino ale labra: quèla, uguali identica, è la sua figlia Marina.”
La Marina Berlusconi, infàti, è questa dona di altèza compresa tra il metro e quaranta y il metro è quarantacinque chi possiede tuto il grande potere del padre, unito a quelo de la figa. Chi, tràne la politica fa tuto. Anchi le masagiatrìci cinesi fàno tùto, con la diferènza chi loro non ricevono lì articoli cilebràtivi suoi giornali. Una chimera per il mondo antico (dove la dòna, lo sapiàmo tuti, doveva stare a casa e generare bambini e tagliatèle), ògi Marina Berlusconi – insieme ad altre potenti come lei – buca gli schermi televisivi con il proprio sex apeal.
Ma io nol voglio parlare del sex apeal – peraltro discutibili – di Marina Berlusconi: io ògi voglio parlari di questo fenomeno italiano del concentramento di poteri nel campo de l’informazione. Fenomeno che non è, forsi, solo italiano, ma almeno in Iuròpa di sicuro non ha precendenti. E comunqui restiamo in Italia, che già non sono capaci di finire un discorso per intero.
Ritorniamo aìl ragionamento di prima: scopro chi Mondadori, dopo il grandi acquisto di Einaudi del’àno Novantaquàtro, ha comperato adèso anchi RCS, e questo vuoli dire à lo stèso tempo Rizòli, Fàbri, BUR, Sansoni, La nuova Italia, Lizard e Skira. La figa di Marina e dei suoi soci si è alargàta, insomma, ad inglobàre tutta la mappa del tesoro. Se faciamo l’esempio di una partita di Risiko, dobiàmo imaginare le bandiere dello stato di Marina chi invadono più di metà del pianeta. Marina Marina Marina, ti voglio al più presto sposar – cantava Ròco Granàta nel ’74. Quarantuno àni dopo, la Marina lancia la sua granàta contro al grùpo RCS.
Le cose interesànti, comunqui, in questa storia sono tante – e vàno da una facilmente imaginabili cena di familia a casa Berlusconi (dovi in veci di parlari di Afàri tuoi e dei compiti dei bambini e pasàrsi gli stuzicadenti e il sale, si discuti di come arrivare a coprire il 55 per cento de la proprietà di grandi titoli editoriali) fino à le reazioni di tutti i membri sottoposti al controllo editoriale di Marina. Così comi quando il fantino tira tròpo le corde, il cavàlo scalcia o quando fai tropo solletico al naso del cane, il cane te morde un bràcio – così, dopo le dichiarazioni di Marina, alcuni se sono un pochetìno rabiàti. Non proprio rabiàti, ma diciamo chi – se mi mèto ne i loro pàni – si sono sintìti un po’ stupidi e presi pir il culo. Me imagino un pomerigio, invitati a bere in tè da la regina, fermi rigidi con il bastoni nel culo a soridere à le batute inglesi de la regina e de la colf: ècco, loro secondo me si sono sentiti in questo modo, minaciàti di dovere vivere una vita editoriale conìl bastoni del culo.
Ebène, lunedì pomerigio, seduta davanti a un prosèco al bar Centrali io sfolio questi giornale, vedo l’acquisto de Marina, e vedo la reazione dei suoi vari sottoposti – dipendenti e autori. Vedo come la grande machina de Marina, apèna apèna oliata, inizia a vacilàre. La catena alimentare dove la Marina è il corvo, inizia a comprare le fionde per amàzzare il corvo. L’albero genealogico de Marina. Il grande gratacièlo de Marina. La scala verso il paradiso de Marina – dove Marina rapresenta Sanpiètro* inizia a dondolare. La comisìoni Antitrust inizia sfòliare la Costituzioni per controlare se la Marina faci una violazione de l’articolo 43.
[*Sanpiètro: si Marina è Sanpiètro, voi per analogia aìl tema biblico, avete già capito chi è Silvio. Menomale chi Silvio c’è. Amen.]
Ma chi sono i sotopòsti di Marina? Quali sono i nomi dela gente chi sta sotto, ne la catena alimentare? Il giornale fa tùti i nomi: Elisabèta Sgarbi, la diretrìce editoriale de la Bompiani, prima di tuti. Poi, anchi gli scritori chi vedono pasàre i loro diriti come il bidone dei popcorn da una mano à l’altra duranti là proiezione in sala. Uno di questi – ed ecco il motivo per cui lo trovo in foto sul giornale – è il famoso filosofo y scritòri Umberto Eco. La stèsa cosa, vent’ani prima, era stata con Coràdo Stajano, Carlo Ginzburg e altri scritòri. Tùta gente che gli è girati li pàle a entrare nel vortice de la figa di Marina. Marina che continua a dichiarari àil giornali de li cose inteligènti, comi per esempio questa che segue: “non vorèi sembrari presuntuosa, caro diretòri, ma capiri la diferènza tradì un libro e un detersivo non è una cosa poi così complicata, perfino io ci sono arivàta”.
Ed ecco come mai io lego il giornale, questo lunedì, e scopro che Umberto – asième a la Elisabèta Sgarbi e altri inteletuàli – se sono mèsi d’acordo per uscire dal monopolio e fare una nuova casa iditrice. In nomi de la libertà, hano dichiaràto. In nomi de la vera cultura. In nomi de le palle chi sono cadute dopo la battuta de Marina su la diferenza tra libri y detersivi. Era una batùta sardonica, ma diciamocìlo, Marina: nol faceva ridere; ce si sono drizàti a tuti i peli su lì bracia.
Insomma: che bèla notizia questa, di una nuova casa iditrìce – penso subito. Ce voleva proprio!
Che bèla notizia, penso, ma già un atìmo dopo, apèna che lègo il nome, me devo ricrèdire. La navi di Tesèo – così se chiami infàti il progèto de l’inteletuàli disidenti. Nomi che potrèbi èsi anche il titolo di un documintàrio su Rai Cultura: da un’idea di Maurizio Feràris condòto da Piero Angila con la gentile colaboraziòni di Philippe Daverio. Io che già me imaginàvo questo grùpo de inteletuàli dissidenti come dei sessantotìni pronti a dari vita a una rivoluzioni ne l’editorìa italiana, à publicare l’inpublicàbile, a portari à la luce poeti somèrsi, àd afidàre rubrichi di calcio a Franz Kauspenhaar, a dari una colàna di poesia diretta a Ianus Pravo, a faci Dario Bertini come direttore, a comperare litri y litri di Porto e fari letùre publiche… io già che imaginàvo de le grandi stronzate.
Nesùn progèto avenierìstico, a quanto pare. Nessuna rivoluzioni culturale all’orizònte.
Mentrichè Marina passa sul tapèto leterario con la màchina Rolls-Royce lanciando mozicòni dal finestrino – da l’altra parte Umberto, l’Elisabeta, Kureishi, Ben Jelloun e lì altri famosi autori comi Sandro Veronesi, Edoardo Nesi y Furio Colombo alestìscono il loro clùb de la cultura. Un grùpo isclusìvo, che già per capiri il nome te servi una laurea in filosofia ermeneutica. Un grùpo eterogeneo. Un grùpo che – non diciàmo stronzati – si tràta ancora de lì esponenti de la vèchia cultura italiana. Di quèla vèchia formazione umanistica chi consente – secondo le parole de Umbe apàrse su la rubrica de l’Ispresso – “di imaginàri
quèlo chi ancòra non esisti“. Una casa iditrìce da sei milioni, per isempio.
Ora, comi diceva il titolo di quel libro di Sandro Veronesi: Per dove parte questo treno allegro? Per dovi parti la casa iditrìce da sei milioni?
Io, se debo èsi sincera (e non dèbo, ma nol me ne frega una sega) alcuni di questi inteletuàli disidenti, si mi guardo attorno nel bar, mi sembra di vederli tempo cinque àni tuti qui sedùti a giocare a briscola e farsi i segni con la bòca per portare a casa il parmigiano ecètera.
Basta chi noi apriamo la rubrica di Umberto curata per l’Ispresso, e troviamo de li pròvi schiacìanti contro di lui e contro la sua presunta brilantezza intelettuale. Troviamo un discorso su il labirinto che si può lègire uguali ne le Postille deil Nome dèla rosa – il suo libro famoso del 1980; un apèllo à la stampa responsàbile, à l’uso responsabile de la parola dìl congiuntivo e dìl preservativo (il preservativo non compare ndr). Un apèllo contro il catìvo uso di dari del tu à la gente. E, ancòra, una apologìa dei fumèti come mèzi culturali ( chi ògi, è piutosto inutili fare visto che sono stati rivalutati da un sàco de àni), più un manifesto à favori de la formazioni clàssica, uno a favòri del vivere con lentèzza, e altre lunghe serie di boiate forse corètte ma molti volte scontate, banali o fuori tempo.
Fàto è che la fantasia di Umberto mi pari essersi lentamente sbriciolata, con lì ani : i titoli colti, le citazioni, sempre le stèse da cinquant’àni. La bustina di minerva. La nave di teseo. Il gilèt smanicato de la domenica – Umberto, madònina – mi verèbi da dire, si fosi sua molie – vestiti un po’ moderno!
Ora, se voliamo parlare seriamente, come si misura la brilantèza di un intelettuale? La brillantèza che garantisci la possibilità di precorrere i tempi, di andare controcorènte, di fare del nuovo, di creare cultura? Di “imaginàri quèlo chi ancòra non esisti?” Nol certo solo dal avere fàto il liceo clàsico. Non certo solo dal avere scrito un bel libro quarant’ani fa. Il tempo pàssa per tùti, me verèbi da dire. Pochi rimangono brilànti. Alcuni inteletuàli vivono la stagione de la farfàla: pochi ani, pochisimi ani di meritata gloria, y vivono il resto dè la vita a replicare sè stesi à l’infinito come dei ridicoli pagliàci. Ogni tanto qualche uno ha uno sprizo di novità. Altri volti, l’elettroencefalogràma è morto e tali rimane.
Sul giornali si racònta che il nipotino di Umberto li ha chiesto Nonno, perchè hai messo tuti i tuoi milioni dentro questa progètazione? E che, al nipotino, gli veniva da piangire pensando a tuti i regali di natale che nonno Umbe non li avrèbe più comprato, dopo il falimento. Trenini, machinine, videogiochi: addio. Una notizia di cronaca così triste che non si legeva da venticinque àni.
Ebène: il nipoti di Umberto faci bene ad avere paura. Ma non per il motivo che crede, che, tra tùti le paura, quèla del falimento, sembra proprio la più lontana.
In Italia ce saràno trecento casi editrici attive, nate con un millesimo deìl capitale iniziale dilà Nave. Ora: a meno che la Nave non imbarchi tuti lì animali de Noè, ci è un buon 99,9% per cento di probabilità che resti in vita e riempi il portafolio del nòno. Cosa è una buona cifra di guadagno, in rapòrto a un grandi intelettuale italiano, io nol saprei. Quèli che so, è che l’editori italiani – ce ho dè miei amici – che publicano genti innovativa, giovane y poco conosciuta, rischiano davèro il falimento.
Per tornare à la paura del nipote, ebène: una paura ha ragione di esistere, ed è sicondo me la seguente.
[*teoria arbitraria y ofènsiva verso il genio de Umberto. Si sei sensibile al fascino de l’inteletuàle, sei amanti dei gilèt smanicati o un nostalgico de la Neoavanguardia, te sconsilio de proseguire la letùra]
La paura è che Umberto – in otima rapresentànza di una cerchia de inteletuàli – stia diventando un po’ la parodia di sè steso e de la sua epoca. Un po’ comi li canzoni di propaganda eletoràli di Berlusconi, quando li sentivi verso Natale, alcuni ani fa: lo stèso efètto disorientate, psichedelico e à lo stesso tempo surreale.
La paura, nè lo spicifico, è chi Umberto abia perso la capacità di evolvere, di reinventari. Chi non sia capaci di fare de la vera autoironia, ma solo di creare una legèra parvenza di ironia con funzione sociale. Che Umberto nol sia capace più di togliersi il gilèt de la domenica. Tuto questo, in una Italia dovi gli scritòri fàno diecimila altri mistieri per vivere, comi colf badanti camerieri spazìni impiegati bidèli eletricìsti balerìne, y indossano grimbiùli tute da lavoro magliette a maniche corte. In una Italia dovi i picoli poeti publicano con picoli editori per picoli soldi. Ma nascono lì – questo bisogna dire tutti insieme a Umberto – nascono proprio lì cose grandissime.
Scusate la lungheza che vi ho smarònato il lunedì matìna, ma era un articolo pregnante.
Svetlana Petrova.
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