Il Primo Natale

a cura di Giovanna Giolla

Senza titolo

Correvo sul sale e sulla neve, i miei scarponcini rossi scintillavano.
Il buio era lungo, lungo come la lista delle cose che non avevo combinato nella mia esistenza.
Era incantato e demoniaco; dentro, ci vedevo le mie memorie.
Dolciastre, balorde.
Mi mancava qualche preparativo per organizzare la cena della vigilia, quando incontrai Babbo Natale, seduto su una panchina: si fumava un joint, sguardo tagliato nel basso.
I bambini passavano e non lo salutavano più.
– Ehi, ciao, – gli dissi.
– Non esisto più, Luce, – gridò Babbo Natale. – Una maestra del New Jersey ha detto ai suoi alunni che non esisto. La notizia ha fatto il giro del mondo.
– L’ho letto su Facebook.
– Tu come hai fatto a riconoscermi? Non indosso il mio abito.
– Ti ho incontrato quando ero una bambina, ricordo il tuo odore di borotalco, quello che sa di crema di riso.
– Sono diverso, – aggiunse.
Non era grasso, i capelli erano neri e gli occhi nocciola, dimostrava vent’anni.
– Io devo andare a casa, è la vigilia di Natale.
– Posso venire con te?
Un brivido nel cervello mi bloccò i pensieri, e tante stelle di latta si scazzottavano, nella mia atmosfera: clap, strung, clap. Stordita, risposi: – Assolutamente.
– Puoi chiamarmi Klaus –. Lo pronunciò sexy, scafato.
Prima di incamminarci, mi mise un braccio sotto l’ascella, toccandomi il seno, per non farmi cadere come un’oca sul marciapiede.
Con un fischio chiamò un tassì, mi prese subito le mani per scaldarmele.
Aprì il portone del nostro palazzo con un calcio, e io in braccio a lui, le scale di corsa, il rumore dei cuori: il caldo, quello, scorreva nelle vene, e il sangue era un bob che, sfishhhhhh, se ne andava ovunque nel mio corpo.
Il mio palazzo era spoglio, qualche pianta matta era cresciuta nelle sale, i mobili erano coperti con i giornali.
Alla morte dei miei genitori, vivevo di quel poco che mi era rimasto.
Avevo smesso di lavorare.
Nonna Teresa stava al piano nobile, quello basso, e cucinava per me grazie ai soldi della sua pensione.
Non ci parlavamo mai, la morte del figlio le aveva procurato un’amnesia psicogena, così aveva detto un Dott. Freudiano, ciarlatano, il quale aveva concluso: «Il caso non lo prendo in carico».
Mi ero ripromessa di cercare un altro Professionista, ma il dolore mi aveva fatto uno scherzo atroce: era entrato nel ragionamento, convincendomi ad abbandonare l’impresa.
Klaus mi richiamò alla realtà, baciandomi la fronte.
Assieme, in un silenzio perfetto, ci mettemmo in ginocchio: nella scatola di peltro c’erano tutti i pezzi del Presepe. Non feci quasi nulla, ogni pezzo di legno lo disponeva lui, come avrebbe fatto mia madre.
Ero felice, così corsi per ogni salone a liberare oggetti, quadri e vestiti.
Mi spogliai e misi il vestito rosso dei miei diciotto anni, Klaus tirò su la zip con i denti.
– Sei un lupo?
– Sì, anche. Sono tante creature. Come te.
Andammo nella sala da bagno dei miei genitori, e per la prima volta, con lui, feci l’amore; l’acqua della vasca divenne rosa, il mio colore preferito.
Mentre i fantasmi dei miei genitori occupavano la cupola del soffitto, chiesi loro: – Come state?
– Bene, Luce.
Klaus, arrossendo, li salutò.
Ci svegliammo all’alba, si cercavano le nostre lingue.
Klaus buttava l’indice sul mio labbro superiore, come fosse un pulsante, per avere un altro bacio.
Ebbi un sussulto, una scheggia del passato invase la mia atmosfera e una nidiata di orrendi pensieri prese il sopravvento.
– Cosa ti succede, Luce?
Ero immobile, mi stavo pietrificando, stavo morendo?
– Torna qui, – disse Klaus.
La voce era lontana, faticavo a credere di esistere.
Non sentii più il suo respiro, il suo odore, le sue mani appiccate sui miei seni.
Quando venne Nonna Teresa, ci trovò entrambi defunti.
Corse a chiamare un’ambulanza.
Gli infermieri non trovarono due corpi inermi, ma due statue di marmo, abbracciate; uno sopra l’altro, come un pesce umano.
Nonna Teresa li congedò.
Disse: – Erano secoli che non appariva l’Amore.
Siamo qui, non andremo mai via, abbiamo un palazzo, e tutto ciò che è successo prima si è frantumato, come un pensiero solido a cui nessuno vuole obbedire.
Nonna Teresa andò a prepararci la colazione.