PER IL TRAMITE DELLA LETTERATURA 7b

COME LA PANDEMIA DA COVID-19 È DIVENTATA L’INSONNIA DEL XXI SECOLO

di Lorenzo Gafforini*

a R.

«Felici i posteri, che non avranno conosciuto queste disgrazie e crederanno che la nostra storia sia una favola!»

FRANCESCO PETRARCA, Familiarum rerum libri

continua […]

7. Il morbo infuria: l’Ottocento e il colera.

Oltre all’affacciarsi dell’era industriale, si diffusero alcune voci sulla diffusione della malattia: infatti, si diffuse in tutta Europa – tramite gruppi “settari” – la credenza per cui il morbo in realtà fosse frutto di uno specifico veleno volto a infettare le falde acquifere e gli alimenti.
La diceria consisteva nel fatto che si trattasse di un complotto escogitato dai governanti contro la popolazione; in particolare gli untori furono indentificati con diverse figure ritenute «complici del potere [quali:] i medici, i preti e i frati, gli intendenti e i pubblici ufficiali»57 .
Tali sentimenti – che hanno un concreto riscontro anche ai giorni nostri – trovarono diversi capri espiatori per sfogare la propria violenza e ottusità. Senza contare, poi, come il diffondersi della malattia sia stato soggetto a strumentalizzazioni politiche fra diversi schieramenti.
Consideriamo, infatti, come l’Ottocento sia il periodo dei moti del 1848, delicato periodo per l’Europa che si trova di fronte a contrasti e vere e proprie rivolte. Dunque, il colera, almeno in Europa, si pone in un momento particolarmente delicato contraddistinto da un fervido periodo di cambiamento.

Anche in questo frangente si diffusero dicerie e credenza sul propagarsi della malattia. Infatti, «si favoleggia di nuvole che, a seconda degli osservatori, sono nere e sanguigne e comunque sospettate di essere in realtà degli enormi ammassi di “insetti, concreati dalla putrefazione dei cadaveri”, o essi stessi apportatori e suscitatori del colera, soprattutto dopo che si sparge la voce dell’esistenza di un insetto di minuscole proporzioni, subito ribattezzato pomposamente e spaventosamente “drago cholerico”» 58. È palese come immagini così fantastiche prendessero immediatamente la popolazione, alimentando il sacco sempre colmo delle dicerie. I deliri sono all’ordine del giorno in situazioni del genere, fomentati anche dalle resistenze di denunciare situazioni ormai palesi.

In La morte a Venezia di Thomas Mann, la città lagunare è infestata dal colera e lo stesso protagonista – Gustav von Aschenbach – ne è vittima. Mann scrive, nonostante l’ambientazione della novella sia riconducibile ai primi del Novecento: «già da parecchi anni il colera asiatico aveva rivelato una crescente tendenza alla diffusione e alla migrazione. […] Ma mentre l’Europa tremava, all’idea che di qui il flagello potesse penetrare per via terra, esso, trasportato per mare da mercanti siriaci, quasi contemporaneamente aveva fatto la propria apparizione in più d’un porto del Mediterraneo. […] Ma ecco che, verso la metà di maggio […], a Venezia in uno stesso giorno i tremendi vibroni son rinvenuti nelle salme emaciate, nerastre di un barcaiolo e di un’erbivendola. I casi furono segreti. Ma di lì a una settimana erano dieci, erano venti, trenta, e per di più in diversi quartieri. […] Rari i casi di guarigione … su cento colpiti, ottanta ne morivano, e per giunta in maniera atroce» 59.

Nonostante questo, un episodio della novella pare molto significativo. Una serata Aschenbach si trova sulla veranda ad ascoltare un cantante «della razza dei comici napoletani, mezzo ruffiani mezzo commedianti, brutali e tracotanti, pericolosi e divertenti» 60 . L’uomo dimostra tutti i sintomi della malattia e mentre raccoglie l’elemosina dopo lo spettacolo, Aschenbach non si trattiene e gli chiede: «dì un po’ […] stanno disinfettando Venezia. Perché?» 61. Ma il cantante risponde che è colpa del caldo, dello scirocco, che è solo precauzione e non c’è nessunissima epidemia 62.

 
continua […]

Note

 57 Ivi, p. 127.
58 P. SORCINELLI, Nuove epidemie, antiche paure. Uomini e colera nell’Ottocento, cit., p. 94. La frase “insetti, concreati dalla putrefazione dei cadaveri” è tratta da G.E. BIDERA, I 120 giorni del 1837, ossia il riprodotto colera in Napoli. Nuovi racconti, Napoli, 1836.
 59 T. MANN, Tristano – La morte a Venezia – Cane e padrone, Fabbri, Milano, 1985, pp. 152-153, trad. di Francesco Saba Sardi.
 60 T. MANN, Tristano – La morte a Venezia – Cane e padrone, cit., p. 147. La scelta che il cantante fosse napoletano non è una casualità. Sicuramente l’immagine del partenopeo avrà colpito l’immaginario teutonico di Mann, ma Napoli era notoriamente una delle città che aveva subito le maggiori perdite a causa del colera. Solo per citare un dato, si segnala come nell’epidemia tra il 1935 e il 1937 le vittime furono 19.665 (E. TOGNOTTI, Il mostro asiatico. Storia del colera in Italia, cit., p. 78).
 61 T. MANN, Tristano – La morte a Venezia – Cane e padrone, cit., p. 148.
62  Impressionante in questo senso è l’episodio nella trasposizione cinematografica del 1971 di Luchino Visconti. Il musicante è emaciato e dimostra egli stesso i sintomi del colera. Si tratta di una risposta dettata dall’ignoranza oppure per non far fuggire i turisti, unica fonte di reddito di questi artisti di strada.