IL VENTO DI CARDARELLI (da una corrispondenza privata)

IL VENTO DI CARDARELLI

(da una corrispondenza privata)

Amore, amore, come sempre,
vorrei coprirti di fiori e d’insulti.

 

“Perché stavamo parlando di amore nell’ultima lettera? E di felicità. Come siamo arrivati al discorso? Non ricordo chi di noi due abbia chiesto all’altro: sei felice? Se sono stata io, me ne scuso. È una domanda difficile, non si dovrebbe mai. Parliamo di altro, anche del tempo, al limite. Qui il cielo si annuvola, a tratti. Zone d’ombra sulle colline, come sotto ombrelloni da spiaggia. Paesi interi qua e là senza sole. E questo gran discutere, come a ogni inizio stagione, del tempo che farà. Come fosse la cosa più importante del mondo.”

 mare 

spiaggia delle Saline, Tarquinia (1)

“Oggi tira uno scirocco fortissimo, il salmastro arriva per chilometri, il mare inizia a bollire. Poi arriverà il libeccio, domani? dopodomani?, ma arriva ed allora il mare si gonfia, le onde assumono altezze enormi, è un turbinio di schiuma, di rumore continuo, come un ruggito: sono forte! sono immenso! posso tutto! È la grande mareggiata che abbatte ogni ostacolo, che sconvolge le spiagge, i moli, gli scogli. Poi il maestrale, l’aria più fresca, il suono più acuto, il blu più scuro. Bisogna solo aspettare, la rabbia sta quietandosi, tra breve si mette a tramontana, aria fredda che viene da nord, l’onda enorme diventa lunga con creste di schiuma che si spezzano in milioni di gocce. Domani è la calma.”

 radice 

(2)

“A me manca, quel vento. Quello che tira in paese, e quello che soffia al lido. E a metà strada c’è la stazione. Cardarelli parlava di quel vento, che scendi dal treno e ti accoglie. O ti respinge, il vento non è per tutti uguale. A me quello di Tarquinia mi accoglie sempre. Mi immagino al belvedere, in cima alla salita dell’Alberata, dove la gente d’estate va ad aspettare il fresco della notte. Dove è incisa la frase di Cardarelli: Qui tutto è fermo, / incantato nel mio ricordo. / Anche il vento.

 stele 

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“È vero, il vento può accoglierti oppure respingerti, e se dovessi descrivere Tarquinia a uno che non c’è mai stato, per prima cosa parlerei del vento: la tramontana che taglia, che si infila tra i vicoli e si allarga formando mulinelli nelle piccole piazze, fredda, che porta via le nubi e rasserena il cielo. Poi lo scirocco, forte, umido e denso. Il cielo opaco, striato di sabbia rossa che viene dall’Africa. Se uno si concentra riesce anche a sentire il profumo delle spezie misto al salmastro del mare. Che non è più blu, diventa argenteo ai raggi filtrati del sole, con le onde di traverso che si mangiano la sabbia. Il macco con cui sono costruite le mura e le case di epoca medioevale: il sedimentario marino che certifica ere lontane in cui il mare copriva questi luoghi, il colore chiaro che risplende d’estate e illumina l’inverno, le piccole conchiglie incastonate tra la pietra. E gli “affacci”, l’Alberata, la Ripa, S. Antonio che s’apre al mare. I colori delle terre coltivate cambiano di mese in mese in un calendario che evidenzia il passare delle stagioni. ”

 alberata 

belvedere dell’Alberata, Tarquinia (4)

“Hai acuito la mia nostalgia. Mi sento orfana di Tarquinia, come Cardarelli in Passaggio notturno. Tu sai quanto io ami quella poesia:

Giace lassù la mia infanzia.
Lassù in quella collina
ch’io riveggo di notte,
passando in ferrovia,
segnata di vive luci.
Odor di stoppie bruciate
m’investe alla stazione.
Antico e sparso odore
simile a molte voci che mi chiamino.
Ma il treno fugge. Io vo non so dove.
M’è compagno un amico
che non si desta neppure.
Nessuno pensa o immagina
che cosa sia per me
questa materna terra ch’io sorvolo
come un ignoto, come un traditore.

Giace la mia infanzia. Giace, capisci?, è morta, trascorsa senza rimedio. E le voci che chiamano sono quelle del passato e delle persone che popolavano il nostro tempo andato. Poi la vita ci porta via, sempre qualche altrove. Magari è anche un bene, non so, non chiedo più. Il compagno di viaggio spesso dorme. Anche se amico non vede oltre le apparenze. E sei tradito, e sei traditore, perché sorvoli. Non ti soffermi più, tanta è la fretta. Tale è la paura. Oggi fa molto freddo. L’autunno è arrivato.”

 là sulla collina 

panorama di Tarquinia con ferrovia (5)

“L’Autunno è entrato prepotente anche qui, pioggia, vento, e immagino la campagna che profuma di umido, le foglie bagnate sul selciato che sembrano fossili, i funghi da raccogliere. Dalla mia finestra però vedo solo un squarcio di cielo e tante finestre chiuse con la luce al neon. La vita è questa che abbiamo, almeno per me, solo questa. Se ci pensi bene, se uno si guarda poi indietro, ciò che rimane sono le emozioni che spesso ci hanno esposto, che sono arrivate per caso e uno le ha vissute fino in fondo. Ogni stagione ha le sue meraviglie, il problema è che non ce ne accorgiamo più. Siamo gabbiani:

E come forse anch’essi amo la quiete,
la gran quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.”

  ruggine  

antico Porto Clementino, Tarquinia (6)
 

“Non ce ne accorgiamo. O facciamo finta di niente. Lo sai come funziona il meccanismo della memoria: se gli permetti di scattare, mica lo fermi più. E allora si va di fuga. Così penso ancora a Cardarelli, lui sì che ne sapeva di fughe. Via da lì, dove era niente, era nessuno. La sua poesia nasceva dal tormento, dal sentirsi rigettato dalla Terra di origine. I suoi versi spesso sono flash back. Ricordi splendidi e feroci. Come i miei. Le estati azzurre da abbagliare, i giochi, e percepire già il senso di passaggio. Io ricordo tutto, sai. Per me, che sono in qualche modo sradicata alla vita e dalla vita, Tarquinia è sempre stata un porto sicuro. Ancora oggi, quando ci vengo, bastano poche ore, e mi sento felicemente lontana da tutto. Per questo ti sono grata quando scrivi della nostra città. Mi sento libera.”

 

alberata 2

rupe di Porta Nuova, Tarquinia (7)
 

“Sono felice che i miei scritti ti riportino qui. Conservo anch’io tante memorie dell’infanzia e di dopo. Con il pudore che si deve a una storia tra ragazzi ricordo, molti anni fa, una giornata uggiosa, il vento che strideva tra gli alberi, simile ai nostri stati d’animo iniziali. Il pub, i tanti discorsi, la spiaggia di notte. E poi il resto. Ricordare è una fuga per rimanere con se stessi. E sognare un po’. Una specie di reload di momenti forti e intensi. Se chiudo gli occhi riesco ancora a vederti benissimo, con i tuoi occhi penetranti, i capelli scuri tra le mie mani.
Ti senti libera, quella è la tua forza. Aspetto di baciarti la guancia per salutarti, se un giorno mai ci rivedremo.”

Penso ai giorni
che, perduti nel tempo, c’incontrammo.

   cardarelli_imm1   
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Vincenzo Cardarelli (all’anagrafe Nazzareno Caldarelli) nasce a Corneto Tarquinia il 1° maggio 1887. Suo padre, Antonio Romagnoli, gestisce il bar della stazione; è un genitore tirannico, per nulla affettuoso, incute soggezione e nemmeno ha riconosciuto ufficialmente il figlio, alla nascita. La madre, Giovanna Caldarelli, è una donna povera che lavora nei campi e svolge altri umili servizi. Quando Cardarelli è ancora un bambino, il padre interrompe la convivenza con lei, cacciandola di casa e sposando un’altra donna.

Il distacco forzato dalla madre, le scelte imposte dal padre, la condizione di figlio illegittimo e la mano anchilosata (per la quale è oggetto di scherno, in paese) lo portano a chiudersi in se stesso e a trascorrere un’infanzia triste e solitaria. Studia da autodidatta finché, nel 1905, si trasferisce a Roma dove svolge una quantità di lavori, sino ad approdare al giornalismo e alla scrittura. Versi, e prosa soprattutto, dai quali emerge una scelta precisa di ordine, che si riassume in una sintesi di classicismo e modernità.

Ricorre nei suoi scritti il tema del luogo natio, della giovinezza infelice. Lontano dal paese di origine, così bello e misterioso, un paese di Maremma, antico e dal suolo cavernoso e sconquassato, dove tre civiltà giacciono l’una sopra l’altra, Cardarelli è monco di radici; pure ogni volta che prova a tornare, si sente ricacciato dai ricordi. Diviso a metà, lungo la linea del cuore, tornerà definitivamente a Tarquinia nel 1959, per esservi seppellito – su sua espressa volontà – nel cimitero che fronteggia la collina dell’antica Civita etrusca.

 

 civita 

 

collina della Civita etrusca (9)

Alto su rupe,
battuto dai venti,
un cimitero frondeggia (…)
Oh poter seppellire
nella città silente
insiem con me la favola
di mia vita!

Non esser più che una pietra corrosa,
un nome cancellato,
e riposar senza memoria in grembo
alla terra natia come se mai
me ne fossi scostato.

“Rapito più dalla propria voce che dall’immagine, semplifica la sintassi a quegli elementi che bastano a distendere il suono mitico, il grande respiro della sua voce. Con le sue opere Cardarelli produce l’esempio così raro di un poeta in cui i limiti ed i pregi sono tutti direttamente riferibili alla storia precisa, inerente dell’uomo.” Mario Luzi

Testi in grassetto: Vincenzo Cardarelli

Foto n° 1, 2, 5, 6, 7, 9: Massimo Pastore

Foto n° 3, 4: Silvia Longo

Foto n° 8: web