Una notte con Patrizia Valduga

Tu mandali a dormire i tuoi pensieri,
devi ascoltare i sensi solamente;
sarà un combattimento di guerrieri:
combatterà il tuo corpo e non la mente.

Rileggo le “Cento Quartine” di Patrizia Valduga in una notte di temporale. Notte buona per storie di mare e tempesta come quelle di Conrad, per derive e naufragi emozionali, per osare e sciogliere ormeggi. Proprio come fa la Valduga, che in “Cento Quartine” ci racconta nei dettagli il modo in cui due amanti trascorrono la notte. Perché la notte appartiene agli amanti.(P.Smith)

Altri libri, intanto, tornano a galla -ricordate, stiamo in alto mare- si impilano sul letto, e li sfoglio alla ricerca di verità su amore e sesso, per come li hanno vissuti e scritti certe donne audaci. Perché solo in superficie la letteratura erotica femminile è stata ampiamente sdoganata. Nei fatti, sono poche le autrici che osano davvero scriverne senza infingimenti, e che non le si definisca spudorate.

Avanti, adesso prova a capire come mi sento sotto il tuo comando, canta Patti Smith, invocando il partner a prenderla subito, nel letto in cui l’amore è un angelo travestito da lussuria.

Una poetessa deve innamorasi per scrivere . / Ha il letto pieno di carta, o di uomini. / Metto i miei libri sul tuo cuscino. / Lasciano un’impronta, come quella della tua testa, si scioglie Erica Jong, incastrata tra urgenza di amore e di liberarsi dalla “paura di volare”, di imparare a vivere il sesso senza sensi di colpa, scevro da ruoli stereotipati. Tanto da stigmatizzare, nel suo romanzo più famoso, il congresso carnale perfetto nella “scopata senza cerniera”, quella che è molto più di una scopata pura e semplice. È un ideale platonico. (…)Nella vera scopata senza cerniera, in quella di prima categoria non si arriva mai a conoscere l’uomo. (…) Non ha motivazioni recondite. Non ci sono giochi di potere. L’uomo non “prende” e la donna non “dà”. Nessuno sta cercando di provare qualcosa o di ottenere qualcosa da qualcuno.

Ricordo la tua frase “soltanto le puttane mi apprezzano”. Avrei dovuto dirti…con le puttane puoi avere solo una consapevolezza di sangue, tra noi c’è troppa mente, troppa letteratura, troppa illusione, ma poi tu hai negato che ci fosse solo mente… adesso sai che non è solo la mia mente ad avere coscienza di te, scrive Anaïs Nin a Henry Miller, dopo averlo conosciuto anche nella carne.

Patrizia Valduga, nelle “Cento Quartine”, riprende i binomi donna-uomo, amore-sesso. Attenta alla forma, alla scelta del lessico, alla costruzione del verso, con un meticoloso lavoro di attualizzazione della poesia classica che a tratti si percepisce doloroso -nella lacerazione tra linguaggio parlato e linguaggio letterario – la Valduga spalanca la porta del suo intimo, e racconta tutto quello che accade in una notte tra un uomo e una donna. Ogni variazione sul tema, gioco erotico, sensazioni e desideri. Quello che i due fanno e si dicono, anche se a dirsi è soprattutto lei, la donna (l’uomo in questione appare più concentrato sulla mera fisicità). Che tra un respiro, un amplesso e l’altro, trova lo spazio per riflessioni e soliloqui, solitudine da appagare:

Prima di te nient’altro che fantasmi,
un inferno di affanni per il cuore,
quel povero passato che tu plasmi
come plasmi il mio corpo nell’amore.

consapevolezza:

C’è un solo incontro e non c’è un solo addio
e devo sempre stare sul chi vive:
nel grande cimitero dei miei io
vivo una vita tutta recidive.

necessità di smettere ogni finzione:

“Allora ce l’hai fatta? sei venuta?
e come sei venuta? dimmi.” Prego?
“Se ti è piaciuto molto sei perduta.”
Non lo posso negare e non lo nego.

Non esita a usare termini che possono evocare il gioco a ruolo alterno di padrone e sottomesso:

Fa’ presto, immobilizzami le braccia,
crocefiggimi, inchiodami al tuo letto,
consolami, accarezzami la faccia,
scopami quando meno me l’aspetto.

Affiorano dettagli anatomici e immagini nude e crude. Che però della pornografia non possiedono la finzione tristissima: nei film a luci rosse, di organi sessuali messi in funzione al suono del ciak. O lo sdilinquimento di un filone letterario seriale tanto in voga -il porno soft al femminile- avvilente imitazione dell’amore e del sesso, goffo tentativo di spiegare l’immaginario delle donne, che azzarda persino qualche risibile incursione nel genere sadomaso. Qui è tutto vero.

Tu, misterioso spirito gentile,
fammi la guardia come un carceriere,
che non nasconda più, vanesia e vile,
verità vergognose e voglie vere.

Resta il dilemma, e mai forse lo scioglieremo, se davvero alla donna sia necessario l’amore, come innesco e giustificazione al sesso:

Terra alla terra, vieni su di me:
voglio il tuo vomere nella mia terra,
fiorire ancora traboccando e
offrire il fiore a te, mio cielo in terra.

Se si tratti, nel caso, di questioni biologiche, legate alla natura femminile stessa, o a condizionamenti socio-culturali. Ma che importa, se resta l’innamoramento. La possibilità di lasciarsi sedurre dall’idea di una fusione perfetta tra i sessi. Di una chimica che coinvolga mente e sensi. E che importa, soprattutto, se resta la Parola. Che gratifica e guarisce. Che rimuove l’assedio della solitudine al cuore.

Ora lo sai: ho bisogno di parole.
Devi imparare a amarmi a modo mio.
È la mente malata che lo vuole:
parla, ti prego ! parla, Cristoiddio !

Tutti i testi, dove non specificato diversamente, sono tratti da “Cento quartine e altre storie d’amore”, Collana: Collezione di poesia, Torino, Einaudi, 1997