Recensioni
Impossibilitati a mordere
Esistono libri che si custodiscono in segreto, gelosamente, e che si spera non vengano mai scoperti dalla massa, come certi luoghi ancora non distrutti dal turismo e che ai nostri occhi vorremmo incontaminati; ed esistono libri che invece si spera possano essere scoperti, essere letti e conosciuti dal maggior numero di persone possibili.
Appartiene alla seconda categoria il recente “Acari”, dell’esordiente Giampaolo G.Rugo, edito dalla sempre attenta Neo, che senza dubbio ha il merito di far trascorrere delle buone ore di lettura senza passare come esempio di lettura d’intrattenimento (il che non è poco).
Rugo infatti riesce a raccontare storie come accadeva un tempo, cioè per il piacere di raccontarle, in più con una forza interna alle vicende che non si risolvono mai in esse stesse, dove c’è sempre qualcosa che accade, qualcosa di non banale; ed è questo anche uno dei perni su cui ruota il libro, che riprende uno stilema poco usato in Italia, quello cioè di una raccolta di racconti che si fa romanzo: infatti i personaggi che si muovono all’interno dello stesso ricorrono in diverse pagine e in racconti differenti, fino a incontrarsi, scontrarsi, come palline sbattute da aria compressa, ma che il narratore riesce a manovrare e gestire con attenzione.
In questo, pur se esordiente, l’autore ricorda in parte la mano di un autore dall’ormai consolidato talento nella scrittura di racconti, qual è Zardi (anche se quest’ultimo può contare su una maggiore cura stilistica), così come la primissima Elisa Ruotolo che ha scritto – riguardo al genio calcistico di un semiprofessionista – uno dei migliori racconti italiani dell’ultimo decennio (echi presenti in “Roba” e “I tre tenori”, forse gli esempi più riusciti del libro di Rugo, che in questo caso fa un utilizzo impeccabile del romanesco per caratterizzare ancora di più i personaggi).
Così sfilano, appunto, l’ex attaccante della Primavera della Roma dare lezioni di vita al figlio; l’ex starlette ormai venditrice di aspirapolveri porta a porta (e la mente va a Carver); il ragazzo con disabilità ostaggio del suo desiderio di vivere; un solitario quarantenne chiuso in casa.
L’umanità presente fra le pagine del libro di Rugo, è preda della folla dei propri ricordi, del proprio passato che emerge come un’onda anomala a reclamare presente, proprio quando i protagonisti invocano futuro e si illudono di poter ottenere una propria privata felicità.
La quindicesima sigaretta che divise con Claudia dopo aver fatto l’amore, fu la più gustosa della sua vita. Si sentiva sollevato, aveva compiuto da un paio di anni i quaranta e quella era la sua prima volta, aveva da un paio di anni i quaranta e quella era la sua prima volta. Anche se sapeva che era una domanda stupida e destinata a rimanere senza risposta non poteva fare a meno di chiedersi com’era andata, com’era andato. Quando era dentro di lei, aveva chiuso gli occhi e lasciato fare all’istinto. Gli sembrava che non si fosse accorta di niente e anche se fosse, in fondo, non gli interessava. Sentiva l’odore di Claudia, avvertiva il calore del suo corpo. Spense la sigaretta, la abbracciò facendo aderire il petto alla sua schiena. Pensò a tutti gli acari nascosti nel materasso schiacciati dal peso dei loro corpi, impossibilitati a mordere, a fare del male.
Di Giuseppe Rizza
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