Ingrata I. (Cristina Basile)

Ingrata I.

C’era una volta una gatta di nome Ingrata…di nome e di fatto.

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Uno strano carattere distruttivo dominava l’animale dal primo mattino, lo spingeva ad alzarsi di scatto, a saltare la ciotola della colazione, il latteo lago dai riflessi violetti per andare rincorrere gli insetti, i pacifici conigli, le briose cavallette.

I padroni di Ingrata, Pascal e Viola, come tutti i loro amici, amavano Ingrata profondamente, malgrado le sue stranezze. Modellati dal loro mestiere di ristoratori erano dolci e servili e sopportavano stoicamente i balzi della gatta sui bicchieri di crema appena riempiti, i miagolii durante le conversazioni importanti, i peli volatili sui piatti dei commensali. Quando quella faceva la matta e come una pallina impazzita rimbalzava qui e lì per gli spazi del ristorante, loro la schivavano con scioltezza, la stessa con cui componevano i loro piatti, adagiavano sopra gli arrosti i rosmarini e sopra le panne cotte i giganti gelsomini.

Ingrata veniva trattata coi guanti: Pascal si svegliava un’ora prima per prepararle i manicaretti più incantevoli, mentre Viola interrompeva volentieri i suoi sonnellini per disfare e rifare la sua cuccia. Tenera di cuore, come uno di quei cioccolatini che fuori è duro e dentro è liquido, la giovane donna piangeva di nascosto le cattiverie della gatta che avrebbe voluto più mansueta, più desiderosa di venirsi a posare sulle sue gambe e quelle del compagno, nelle fredde serata d’inverno francese, quando l’unica cosa che si sentiva a parte il freddo, erano i macchinari per fare il formaggio del vicino Gregoire. 

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