Ingrata II. La caduta nel pozzo (Cristina Basile)

La caduta nel pozzo

blattes
 

Un mattino, Ingrata partì da sola, seguendo la scia di polvere sollevata da una cavalletta.
Nell’impeto dell’inseguimento percorse alcuni chilometri senza accorgersene e, perdendo di vista la strada, precipitò in un minuscolo pozzo nascosto tra le erbe, che nessuno aveva chiuso.
Questo era abbastanza fondo da intrappolare un gatto senza che potesse uscirne, se non con l’aiuto di un essere umano.

L’afflitta Ingrata, dopo un primo momento di stordimento, si era accanita contro la circonferenza di pietra che soffocava la sua ferina vitalità. Saltò, saltò, contro ogni evidenza, anche quando sprazzi di allucinazioni di boschi e foreste, dove non era mai stata, si sovrapposero alle immagini della realtà, fiaccandola ancora di più. Solo quando fu troppo debole e disperata, la gatta si riposò.

I pensieri sulla soglia del sonno: come le sarebbe piaciuto dare una leccatina alla crema rappresa o un morsetto ai manicaretti di Pascal.
In quel tugurio le paure si amplificavano e le nostalgie si trasformavano in mari, oceani di cui il pozzo era un surrogato che cullava Ingrata fino a derive sconosciute.

Ad un certo punto alcune blatte notturne si avvicinarono. In uno spazio aperto, Ingrata, di quei brutti così neri e croccanti aveva l’abitudine di fare man bassa, li trasformava in un grande banchetto dal quale usciva vittoriosa, con i baffi inzaccherati di pezzi di antenne e corazze sfaldate.
Le blatte, potendo contare sulle ipnotiche sfumature blu e arcobaleno dei loro carapaci, condussero Ingrata in uno stato d’animo particolare che le incurvò le spalle, le fiaccò l’animo e la obbligò a riporre le sue bestiali rivendicazioni nella guaina. Le blatte le dissero in coro che ciò che faceva subire ai suoi padroni era veramente orribile ed enumerarono tutte le monellerie senza senso che aveva commesso, con voce impostata e rauca e una pesante prosodia che ricordava i rumori emanati da campane di ottone. Costretta a subire una tale strigliata, Ingrata dapprima si sentì infastidita, poi triste, poi desolata, poi in colpa fino all’ultimo pelo per l’infelicità che aveva inflitto alla sua famiglia.

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