Interviste
INTERVISTA A FABRIZIO CATTANI
a cura di Marta Lìmoli
Fabrizio Cattani, regista cinematografico, parla del suo recente progetto indipendente compiuto con la collaborazione di professionisti da lui scelti – sia fra gli artisti sia per quanto concerne la squadra tecnica.
Maternity Blues è il titolo del lungometraggio vincitore di: Premio Tonino Guerra per la migliore sceneggiatura al Bif&st di Bari, Globo d’oro Stampa Estera come ‘Film da non dimenticare’, European Golden Globe ad Andrea Osvart quale attrice rivelazione, Nastro d’Argento dei Critici Cinematografici alla protagonista Osvart per l’interpretazione. Un bottino di diciotto premi italiani e internazionali.
Giovane toscano, Cattani, nasce a Colonnata, frazione montana del Comune di Carrara; e inizia in provincia il proprio percorso artistico come attore e regista teatrale.
Trasferitosi nella capitale, esordisce nel mondo cinematografico con due cortometraggi che autoproduce: L’abito – finalista ai Golden Globe 1998, e Mattina – Premio della critica a Europa Cinema di Viareggio, seguiti dal mediometraggio Vicino nel cuore.
Cattani si occupa anche, nel corso della carriera, di videoclip e spot pubblicitari. Nel 2005 è autore e regista del lungometraggio Il rabdomante, film che trova distribuzione due anni dopo e che ottiene una quantità notevole di riconoscimenti; venti premi ritirati ai Festival di settore.
Un’idea sulla quale lavorava assiduamente da tempo, Maternity Blues. Il regista, forte dell’esperienza personale e i consensi maturati nel tempo, opera delle scelte di linea narrativa e d’atmosfera assolutamente schiette e nitide, difficili quanto scottante è l’argomento affrontato. Il libro di Grazia Verasani – testo teatrale From Medea – da cui è tratta la sceneggiatura, e la stesura a quattro mani con la stessa autrice del volume e del regista, nasce non soltanto come riflessione sull’istinto materno ma anche come accusa contro una collettività che ha sempre bisogno di creare mostri e giudicare un malessere che non andrebbe liquidato con leggerezza. La Verasani ha preferito non assistere alle scene da girare sul set, alla sensibilità di Fabrizio Cattani è affidata la totale interpretazione delle problematiche trattate e ne è il mentore. Per la guida degli attori, la collaborazione dei professionisti che hanno composto il cast è stata preziosa, poiché l’affiatamento di gruppo si è reso indispensabile per arrivare a una concentrazione massima che potesse contenere possibili eccessi d’immedesimazione emotiva. Così, la ‘condotta’ quasi ‘intimista’ della direzione ha riscontrato consonanza massima fra gli attori nel procedere al lavoro e gli interpreti sono stati così accompagnati alla realizzazione del personaggio con efficacia e maestria. L’urgenza di questa proposta dai contenuti sociali delicati e particolarmente tesi a sensibilizzare l’opinione pubblica convince tutti.
La depressione post partum è un disturbo dell’umore sempre più preoccupante; colpisce moltissime donne (si considera il 30% e più delle donne) dopo il parto e può manifestarsi in varie entità. Gli psichiatri parlano spesso di ‘depressione post partum’: la diagnosi rivela non solo il sintomo di una vera e propria malattia ma anche le condizioni della maternità, di ogni maternità, dove l’amore per il figlio non è mai disgiunto dall’odio per lo stesso poiché vive e si nutre del sacrificio della madre. Sacrificio del suo corpo, del suo spazio, del suo tempo, sonno, relazioni, lavoro, affetti e anche amori: altri dall’amore per il figlio. La nostra società si ritrova incapace di accettare una verità che la psicologia e l’antropologia moderna hanno verificato: il cosiddetto istinto materno non esiste. L’idea per la quale esista una sorta di vincolo naturale fra madre e figli che trae origine dal parto, vincolo che alcuni finiscono per estendere a tutte le donne e a tutti i bambini indipendentemente dal legame di sangue, vincolo che al contrario molti negano sussista anche nel genere maschile persino tra padri e figli, è a tutti gli effetti un mito.
‘L’indipendente’ : Spesso conoscere la storia pregressa delle infanticide aiuta a capire come l’istinto materno non sia affatto un istinto innato, come la maternità sia qualcosa di estremamente complesso e come la depressione maggiore o post partum – se non compresa – possa sfociare persino nell’assassinio del proprio figlio che altro non è che un suicidio. I sintomi della depressione sono spesso tenuti nascosti sia dalla stessa madre, per motivi di disistima, ma anche dai familiari per motivi d’imbarazzante vergogna. La solitudine è la prima barriera che una madre dovrebbe infrangere.
I caratteri principali, attorno ai quali rotea la vicenda fulcro, sono espressi in diverse tinte tutte decise e profondamente chiare pur avvoltolate dalla complessa psicologia che manifestano sia nel comportamento sia nel linguaggio verbale. La protagonista Andrea Osvart ha abbracciato l’invito del regista, con il quale aveva in precedenza lavorato in Il rabdomante, e per accostarsi al personaggio si è fatta affiancare dalla competenza di una coach americana e con Cattani hanno lavorato analizzando e studiando molte interviste fatte alle donne madri infanticide. Gli attori: Daniele Pecci nel ruolo del marito della protagonista, Chiara Martegiani, Marina Pennafina, Monica Birladeanu, completano il cast che si è radunato a Massa Carrara (luogo principale del set) e per cinque settimane hanno impiegato le proprie forze per riuscire a esprimere il dolore nella piena complessità delle reazioni che attanaglia nuclei familiari dove le madri arrivano a compiere un gesto estremo. Un padre riesce a riconoscere di avere una parte di colpa e arriva a perdonare la propria moglie per l’amore smisurato che prova nei suoi confronti. La divulgazione in scuole ha attivato accesi dibattiti, con l’ausilio di docenti motivati a metter in primo piano per i propri allievi casi di cronaca sconvolgenti ma che si ritrovano comunque nel corpo di grandi testi teatrali della più antica tradizione del repertorio dei tragici greci. Fabrizio Cattani dice “Nel film non c’è traccia di giudizio nei confronti delle infanticide, ma neppure di giustificazione e, tantomeno, di assoluzione. C’è la fotografia delle loro vite raccontate attraverso il luogo dove scontano la loro pena, l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario, e presso il quale cercano di ‘curarsi’ con il supporto dei medici specialisti. Mi è sembrato interessante sottolineare come Rina, Vincenza, Eloisa, Clara, vivano come sospese in un limbo dalle pareti sottili che le separa ma al tempo stesso le protegge dal mondo reale. Un limbo difficile da varcare per via di quei pregiudizi e la superficialità cui i media ci hanno abituato. I medici, a Castiglione delle Stiviere – rinomato O.P.G. – dove queste donne sono spesso ricoverate, parlano anche di concorso di colpa: “Molte arrivano a compiere quest’azione contro natura anche per causa dell’assenza dei mariti o per la loro violenza, per infanzie difficili a volte brutali.” Calandosi con attenzione nelle vite dolorose o estremamente grigie delle donne delle quali vogliamo parlare, non si può non provare per loro Pietas, quel sentimento che si prova nel momento in cui si smette di giudicare e s’inizia a cercare di comprendere.
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