Interviste
INTERVISTA A GRAZIANO GERMANO PIAZZA
a cura di Marta Lìmoli
Scene da un interno –
il cuore parlante di un artista
Ali spiegate verso proiezioni scultoree illuminate di riflessi teatrali
In scena dal 16 Luglio a Roma, presso il Globe Theatre di Villa Borghese, protagonista nelle vesti di Re Lear, per la regia di Daniele Salvo.
A Segesta, in Agosto, nell’Aiace di Ghiannis Ritsos.
Graziano Germano Piazza. Attore. Un curriculum significante. Qualità. Storia. Arte. Lavoro.
Scelte che sono scelte interpretative vissute dall’interno, in circuiti ambìti che si susseguono e s’inanellano: proposta di ‘quel’ Teatro culturale, intellettuale, di pensiero tradotto in azioni sceniche dense e simboliche – atti di trasposizioni drammaturgiche d’alto sipario.
Graziano Piazza lavoratore dello spettacolo, oggi in movimento fra lezioni agli allievi e allestimenti, parla di progetti e collaborazioni fra un pullmann e un aereo che lo conducono dalla Sala prove siciliana, dove un folto gruppo di ragazzi è in attesa della sua dotta presenza, a Roma per riprendere le prove del prossimo spettacolo in preparazione. Parla della passione per la Scultura.
Come è scaturita la voglia di applicarsi con le mani su una materia come i metalli utilizzati per le tue opere?
RISPOSTA
Ho sempre amato disegnare ma percependo i confini della carta, la sua dimensione illusoria di volume, così il metallo tradotto in materia filiforme – alleggerito – diventava uno strumento per esprimere in tre dimensioni quel disegno che potesse cambiare realmente i punti di vista; è come disegnare nell’aria.. lasciare traccia tangibile del passaggio delle proprie mani, del proprio sguardo.
I soggetti che realizzi e ‘racconti’, offri al pubblico, da quali sogni provengono? O quali sollecitazioni post oniriche?
RISPOSTA
Non so bene come spiegare. È un movimento che mi abita, un movimento che abita una forma, e diventa un simbolo, quasi un archetipo, sia un corpo umano, un volto, un animale; l’energia che quella forma esprime e si sviluppa nel gesto e nel salto.. nello sbalzo dell’apparire. È qualcosa che parte dal movimento e non si ferma, si manifesta in una forma e poi va via; è un passaggio, sì, come in un sogno.
Arte in Teatro. Accademie. Si potrebbe pensare ad una recitazione scultorea, pittorica, scenografica, decorativa?
RISPOSTA
Assolutamente sì. La recitazione deve contenere dimensioni volumetriche che superino la bidimesionalità. Per nulla decorativa, deve far parte del lavoro scenografico, dell’essenzialità della comunicazione necessaria e imprescindibile. Come la luce, la musica, la pittura, tutto, insieme alla recitazione è parte del mondo che si vuole rappresentare, nella verosimiglianza, certo, nella creazione di codici fruibili che riportino alla verità. L’attore, colui che agisce, come l’uomo nel mondo, é solo di passaggio, può lasciare una traccia perché altri possano continuare la ricerca, prendere il Testimone per un’auspicata evoluzione, l’uomo non è il mondo, è parte di esso. Sta su di un ponte! Come dicono i Sufi, vede e gode e vive del paesaggio, ma un ponte è fatto per andare da una parte all’altra, non ci si può soffermare a lungo. L’attore deve imparare a diventare invisibile!
Insegni presso L’Istituto Nazionale del Dramma Antico. Gli allievi, si nota dalle fotografie scattate durante alcune delle lezioni, hanno uno sguardo attento e molto presente, com’è la loro risposta alle sollecitazioni alla ricerca, lo studio cui li sospingi? Cosa separa i ragazzi agli esordi, oggi, dal periodo in cui tu hai iniziato con i tuoi debutti in Teatro?
RISPOSTA
Il mondo e sempre più veloce, le capacità aumentano, se si mantiene libero il canale della propria creatività si arriva molto prima a ciò che un tempo più lentamente si raggiungeva. I giovani hanno molte più possibilità oggi. Mi riferisco ovviamente alle possibilità di un giovane attore con la propria Arte. Purtroppo ciò che manca è l’allenamento costante, le lunghe tournée che sfiancavano, ma edificavano, l’approccio con gli attori più grandi e le loro manie, la vera disciplina di palcoscenico fatta di rispetto costante per gli altri, qualunque fosse il ruolo, la gerarchia artigianale dei piccoli raggiungimenti sera dopo sera, l’incontro/scontro col proprio narcisismo e il suo superamento, la vanità come motore edificante della passione umile per il proprio mestiere… Io, semplicemente indico delle vie, degli obiettivi, pongo domande e dubbi, spingo ad una rinnovata sensibilità, alla distruzione dell’abitudine, alla ricerca di una compromissione con sé stessi nell’ascolto dell’altro. Tutto deve passare dal corpo. Tutto deve diventare riferimento esperienziale attraverso il corpo. Il corpo è il proprio Tempio e bisogna tenerlo pulito e attivo. Come il proprio giardino fiorito. La mente… Mente! Ed io indico la possibilità di un po’ di leggerezza e ‘stupidità’! Questo con regole e limiti seri, come in un gioco di bambini che fanno sempre sul serio! Trovo fra i ragazzi dell’Inda persone “pronte”, capacità e talenti e ricchezze di sguardi, gioia, serietà e ancora disponibilità d’Amore; frutto certamente del lavoro fatto con i vari docenti in questi anni ma soprattutto della passione che li guida.
Parli mai ai tuoi ragazzi del tuo primo istante sul palcoscenico?
È avvenuto in una recita scolastica, da ragazzo o è arrivato con il primo Saggio a fine corso di Teatro?
RISPOSTA
È accaduto di parlarne. Di quando mi hanno regalato una maschera neutra e andavo nei parchi ad inventare storie silenti o semplicemente rimanevo fermo per tanto tempo come una statua ad aspettare il “pubblico”. Della mia dislessia superata con le parti a memoria, della mia timidezza che trovava la sua forza in quel porto franco del palcoscenico, della ricerca di una “casa”, d’un origine che mi radicasse per salire più in alto. Insomma del luogo dove il mio corpo cercava il passaggio e poteva essere più attento e cercare di ricordarsi di sé senza troppa identificazione, ma anche con la più totale adesione! Non ho fatto vere e proprie scuole di teatro, ho subito cominciato col lavoro e subito con Vittorio Gassmann.
La conoscenza del Teatro. Dopo molti anni di esperienza, l’approccio ad esso è sicuramente più familiare, si ha dimestichezza con le esigenze che impone un progetto, si è assimilato quel che serve per riuscire ad addentrasi in profondità sia in un testo sia nello spazio.. ma la sua Essenza si riesce ad afferrare invariabilmente?
RISPOSTA
La fortuna di lavorare con dei grandi Maestri mi ha indicato delle strade possibili, una pluralità di approcci a volte persino contraddittori. Ho avuto la fortuna di imparare a compenetrare forme che non mi appartenevano e a cui trovavo modo di credere, di liberarmi delle forme, a volte, e diventare un buon onesto collaboratore del regista. L’Essenza credo stia proprio in questa dinamica che sfugge le forme egoiche della personalità e raggiunge invece il continuo scambio, la continua messa in discussione di ciò che si è trovato. La centralità dell’attore, dell’attore invisibile, come mi piace dire, che non si ripara nel personaggio ma lo attraversa o si lascia attraversare; citando Artaud: “Perché la carica voltaica produca la catena di un teatro sacro“, la centralità di questo tipo di attore ha bisogno di talenti che lavorino su sé stessi, nella ricerca della propria Essenza.
Nel momento in cui hai iniziato a curare la regia di uno spettacolo, intraprendendo quei percorsi decisionali che via via determinano la costruzione della tua idea di allestimento, hai potuto rilevare distinzioni metodologiche fra il tuo proprio iter lavorativo attoriale e quello registico, che ne edificano la cifra scenica?
RISPOSTA
La regia per come la intendo e pratico, è il naturale sviluppo di questo iter attoriale. Non comincio un lavoro registico senza una visione globale ma lascio che il lavoro con gli attori possa sviluppare e anche modificare l’idea iniziale. È sempre la necessità che mi guida, l’urgenza della comunicazione, come attore e come regista.
Fondamentale. Cos’è fondamentale per te, nel lavoro – la dedizione quotidiana – così come nell’arte? Cosa non deve poter mancare, e se così è come fai ad avvicinare ed ottenere quell’elemento?
RISPOSTA
La fragranza della Bellezza. Il Maestro Mewlana Rumi indica la possibilità di divenire fragranza. “Due pietre non possono occupare lo stesso spazio, due fragranze sì. Sii fragranza“. Un allenamento costante a questo elemento può essere molto utile. Le mie sculture sono attraversate dall’aria, sono strutture forti, saldate insieme, in metallo, ma lasciano l’idea di leggerezza e armonia, almeno sono tese a ciò. Respirare profondamente e mantenere vivo il gusto delle cose, forse questo, avvicina.
Insoddisfazioni. Dopo una replica, alla fine di una tournée, si ripensa al ruolo interpretato, lo si rivede con distacco seppur ancora mantenendo un certo legame. Se si è mancato in qualche aspetto o sfaccettatura, quella ‘rivelazione’ può tornare utile nella successiva esperienza professionale? Riesci a fare tesoro di ciò che stai realizzando mentalmente fuori tempo massimo e che non sai se potrai applicare in un’altra esperienza?
RISPOSTA
Peter Stein dice che uno spettacolo è solo lo sviluppo di uno spettacolo precedente, e ciò che sarà sviluppato in quello successivo. Come quando entri in scena e devi sentire cosa è rimasto della scena precedente che ancora aleggia nello spazio. Tutte le piccole grandi scoperte o consapevolezze, se vere, non vanno via, rimangono e prendono corpo e forma in altro modo, si sviluppano. Il nostro Lavoro vive di un’insoddisfazione continua, è un continuo divenire.
Il coraggio delle scelte. Ti identifichi con tutte le tue scelte? Qualcuna che ti ha segnato e che tieni presente nei momenti di dubbio? Hai fatto mai scelte radicali o drastiche? Di rinuncia o totale accettazione di una condizione scenica?
RISPOSTA
Posso parlarti di almeno due occasioni. La prima anni fa quando scelsi di rimanere in Italia e non andare all’Actor Studio, invitato dalla grande coach e insegnante Geraldine Baron. La seconda quando scelsi di andarmene via dalla compagnia dell’Ivanov di Neckrosius, al Teatro di Roma, qualche mese dopo la nascita di mia figlia. Ruppi il contratto per motivi di etica professionale, il grande regista capì e per miracolo il giorno dopo mi chiamò Luca Ronconi per uno dei protagonisti di Infinities. Ricordo questi momenti quando necessito di una spinta, di un azzardo. Se la Domanda è forte, la Risposta del mondo non si fa attendere.
Sarà capitato di trovarsi dentro una messa in scena o un periodo di prove durante cui hai sentito che eri in contrasto con te stesso e il gruppo di lavoro, il tuo disegno del personaggio e la prospettiva dello spettacolo; come risolvi in tali casi?
RISPOSTA
La domanda primaria è sempre “Perché sono qui, ora?”. In qualsiasi occasione. La successione delle casualità ti porta a dimenticartene. Ma sto imparando concretamente che non esiste la casualità. La seconda domanda è “Cosa devo vedere di tutto ciò?”. Il resto diventa comprensione, entusiasmo e non attaccamento all’idea che si ha di sé stessi. Ho imparato molto soprattutto dalle occasioni che sembravano più lontane da me. È un bel gioco.
Cosa cerchi da spettatore, quando decidi di andare a Teatro?
RISPOSTA
Bellezza. Che non nasca troppo il senso intellettuale. Emozione condivisa. Intenti onesti.
Il concetto di attore teatrante e attore interprete, secondo te.
RISPOSTA
Se posso permettermi vorrei approfittare di questa domanda per esporti un concetto allargato che riguarda gli attori ma anche i registi. Farei una distinzione solo di attitudine, di necessità tra coloro che ricercano la visione, coloro che cercano di compromettere sé stessi diventando pedagoghi, e gli allestitori. Di tutte e tre le categorie abbiamo grandi Maestri. Non c’è un merito o un valore di merito nella distinzione, solo una distinzione di necessità. Un grande allestitore ha lo stesso valore di un uomo di visione. Non voglio qui fare nomi ma si possono trovare nella storia del teatro, grandi esempi sia per i registi che per gli attori. Vi sono attori/autori che esprimono la propria visione tramite sé stessi o altri autori, attori pedagoghi che compromettono la propria emozione per apprendere qualcosa in più del mondo e di sé stessi, e attori allestitori che indossano meravigliosamente i personaggi, allestendone finanche le battute. Ecco mi sembra che tra teatrante e interprete ci siano questi mondi di capacità e necessità. Molto spesso accade, nonostante noi, che partecipiamo ignari ad una categoria che si muove trasversalmente e siamo veicoli in cerca di un centro.
Rimane un ricordo dei Maestri con i quali si è lavorato e dai quali si è appreso una lezione importante. Le più preziose cui sei particolarmente legato che puoi dirci?
RISPOSTA
Ne avrei molte per ciascun uomo di Teatro che ho avuto la fortuna d’incontrare. Ho dovuto imparare molto dagli altri conosciuti nel corso della carriera. Veramente da tutti. Forse quella che può essere più significativa da raccontare è l’esperienza che Stein chiama la “contratenziooone”, con la ‘o’ allungata. È la tecnica che permette di svolgere una battuta con un certo ritmo e una certa intenzione e lasciare invece che il gesto, il corpo, esprima un altro ritmo e un’altra intenzione, così da risultare una sorta di dilemma vivente. Per interpretare i testi di Shakespeare è molto utile. Ho provato pienamente questo, dopo mesi che non riuscivo a capire bene come si potesse superare quel che a me sembrava solo un tecnicismo, virtuoso tecnicismo, proprio all’Odeon di Parigi, durante una battuta del Titus Andronicus, mentre parlavo molto in fretta delle gioie dell’amore e della tenerezza verso Lavinia. Con la spada in mano mi sono visto lentamente alzare la punta per tutto il tempo della battuta, inesorabilmente, fino a chiudere la battuta e il movimento della spada con la punta conficcata in mezzo alle gambe del mio interlocutore. Questo iato, in un pubblico che non parlava la nostra lingua come quello francese, ha provocato il sorriso e l’applauso… Ed ho cominciato a capire.
Nel futuro l’attore va incontro a…?
RISPOSTA
La nostra, è storia di uomini. Dove andranno gli uomini andrà l’attore. Sempre. E tutto ciò che accade sarà comunque sempre per il meglio!
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