Interviste
Marco Palladini (I)
a cura di Elisa Audino
Marco Palladini, romano, narratore, poeta, drammaturgo, regista, performer e critico. Un lunghissimo curriculum artistico, i suoi testi sono stati tradotti in otto lingue, una quarantina sono gli spettacoli e le performance teatrali e poetico-musicali, ha collaborato con RadioTre e RadioRai International e, come giornalista, per Paese Sera e Il Messaggero. Dodici le raccolte di poesia. Una figura da intellettuale e strenuo sperimentalista, che viene spontaneo ricollegare alla scuola romana di Pasolini, a cui si è a lungo dedicato, ma che è stato molto attento anche alla Beat Generation e, sul fronte teatrale, all’opera del Marchese De Sade. Molti altri i riferimenti che cita e tutti accomunati da un certo fervore linguistico. L’ultimo suo lavoro è, non a caso, Creando Chaos, un’opera di spoken poetry nel segno del rock elettrico, composto ed eseguito dal chitarrista Gianluca Mei, disponibile sulle principali piattaforme di streaming musicale.
Il tuo tratto distintivo, e che si ritrova anche in Creando Chaos, è l’uso del tutto singolare che fai della lingua, lo ‘stropicciare’ le parole e le konsonanti, fino a sovrabbondare. Ilenia Appicciafuoco, nella monografia critica sulla tua opera poetica, parla più propriamente di linguavirus [Nei sentieri della linguavirus, 2019, Novecento].
È vero, è un titolo che la giovane studiosa riprendeva da un mio scritto in cui parlavo di ‘linguavirus’ o ‘viruslingua’ a proposito della prassi intraverbale e mistilingue che connota il mio percorso poetico fin dai primi due libri in versi Et ego in movimento (1987) e Autopia (1991). Il neologismo lo avevo traslato da un famoso motto dello scrittore beat americano William Burroughs: “Language is a virus from outer space”.
Language! It’s a virus!
Language! It’s a virus!
Well I was talking to a friend
And I was saying:
I wanted you
And I was looking for you
But I couldn’t find you. I couldn’t find you
And he said: Hey!
Are you talking to me?
Or are you just practicing
For one of those performances of yours?
Huh?
Language! It’s a virus!
Language! It’s a virus!
Laurie Anderson, estratto del brano ‘Language is a virus’, ispirato a Burroughs
È una modalità espressiva che, indipendentemente dai riferimenti [cita la scapigliatura di Imbriani e Dossi, il “fervore poetocritico e antiborghese” di Lucini, poi Gadda, Emilio Villa, Sanguineti e “il mio amico Gianni Toti straordinario manipolatore neologistico del linguaggio ed eccellente videopoetronico”], deve aver avuto una propria genesi.
Credo sia una mia attitudine originaria a lavorare sulle forme espressive o espressiviste del linguaggio, inteso appunto come un virus panico e onnivasivo attraverso cui diamo forma e fattualmente ‘conosciamo’ la realtà sia esteriore sia interiore. Ho sempre pensato che il compito primo di uno scrittore degno di tal nome sia quello di forgiare da sé un proprio linguaggio, di dare luogo ad una officina espressiva e stilistica che lo renda, quanto più possibilmente, immediatamente riconoscibile. E fin dai miei esordi diversi critici, ora in modo elogiativo ora in modo del tutto negativo, affermavano che non scrivevo in italiano bensì in ‘palladinese’. Ho sempre avuto, fin dall’inizio, non pochi detrattori, ma non me ne sono mai curato né lagnato, essendo d’accordo con Franco Fortini che asseriva: “Non mi piacciono gli scrittori troppo cordiali con il prossimo, ché poi gli tocca di stringere troppe mani sporche”.
No Sadisfaction
(da Poesia senza kuore, AA.VV., a cura di Mario Lunetta, Robin Ed., 2010)
Passo dal prode Achille al libertino Dolmancé
dalle pagine dell’Iliade a quelle del Marchese de Sade
mi piace slittare dall’eroico all’erotico
sospettando che tra il fare
di nemici carneficina orrenda
e un’esperta, appassionata fellatio
la differenza sia di ordine gestuale
e non certo di rilievo concettuale
Fate l’amore non fate la guerra
è uno slogan da vecchi hippies
o uno spot neo-messianico
per un futuro solo miele e niente fiele?
Sadianamente si dovrebbe piuttosto raccomandare:
siate erotici non meno che eroici
ovvero baciate, carezzate,
leccate, succhiate
i corpi e i loro fori e appendici
per poi attaccarli, massacrarli,
farli a pezzi, bruciarli, distruggerli
come natura matrigna comanda
e la nostra biopsiche recepisce
Quel fiotto spermatico inaugurale al nulla
ci illustra una pornografica umanità
che nella sodomia estrema
si gode l’orgasmo bellico
l’eccesso letale della fraternità
Come stranito guerriero però mi aggiro
Perché l’eros (questo vampiro)
continua a mordermi sul collo
a esplodermi secondo una granata in corpo
but love is a cheat, an illusion
and I can’t get no… sadisfaction?
Qualcosa che non ha a che fare solo il gusto per il suono, quindi.
No, lo stropicciare, come tu dici, le parole, il deformare il linguaggio creando nuove concrezioni verbali non è un semplice e gratuito giuoco. Ovvero il giocare con il linguaggio genera certamente un ‘loisir’, una pratica di evidente godimento, ma ha a che fare con una visione del mondo, con una peculiare percezione del reale. Diceva Gadda: barocco non è il Gaddus, barocco è il mondo. Ecco il ‘punctum’: si deforma, si stropiccia, si confrica, si collutta, si confligge con il linguaggio perché si percepiscono le deformità, le contraddizioni, le enarmonie, gli aspetti grotteschi e le mostruosità del mondo. è la ricezione teratomorfica o teriomorfe, che dir piaccia, del mondo che sospinge alcuni scrittori (quorum ego) a produrre un linguaggio poetico a sua volta percepito come teratomorfico o teriomorfe. È una pratica che definisco oppositiva, il linguaggio ha sempre per me una dimensione politica, ciò che è agli antipodi di una certa tradizione lirico-accademica vòlta all’autoconsolazione e alla conciliazione con il mondo così com’è.
Da MARE NON NOSTRUM, Creando Chaos
Non è un mare da amare se alla tragedia non si risponde
Se l’ecatombe è nella visione del barcone affondato
Un cimitero sottomarino già incrostato di molluschi
Uomini, donne e bambini si sono tramutati in cibo per i pesci
Non è un mare per egalité, liberté, fraternité
Ma per frammenti di un discorso odioso
Logos razzisti di morte, distruzione e nullificazione
Sì, la salvezza promessa si è rovesciata nell’eternullité
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