Jarcha

Una jarcha (in arabo, خرجة jarŷa, “uscita” o “finale”) è una breve composizione lirica che costituiva la parte finale di un poema in arabo chiamato moaxaja, tipico della Hispania musulmana.
La jarcha più antica sembra risalire alla metà del secolo XI e la più moderna alla prima metà del XIV. Frequenti soprattutto tra la fine del secolo XI y l’inizio del XII, la maggior parte delle jarchas sono composte in dialetto hispanoarabo colloquiale, ma una piccola parte lo sono nella lingua romanza che utilizzavano gli andalusi; di conseguenza, costituiscono gli ejsempi più antichi che si conoscono di poesia in lingua romanza.
Furono scritte da poeti colti arabi ed ebrei, che prendevano a modello la lirica romanica tradizionale. Le trassero dal folclore popolore, o le adattarono alle loro necessità metriche (dovevano integrarsi nella moaxaja) o le composero di nuova creazione, a partire da forme tradizionali.

Jarcha en mozárabe:

Garīdboš, ay yermanēllaš
kóm kontenērhé mew mālē,
sīn al-ḥabībnon bibrē´yo:
¿ad ob l’iréy demandāre?
bay-še mio qorason de mib
Yā rabbī ši še tornarad
țanmal mio doler al-habīb
Enfermo Ϋed quan šanarad
¿Qué faré mamma?
Mio al-habib eštad yana.

Traduzione in castigliano:

Decidme, ay hermanitas,
¿cómo contener mi mal?
Sin el amado no viviré:
¿adónde iré a buscarlo?
Mi corazón se me va de mí.
Oh Dios, ¿acaso se me tornará?
¡Tan fuerte mi dolor por el amado!
Enfermo está, ¿cuándo sanará?
¿Qué haré, madre?
Mi amado está a la puerta.

Perversione:

Dimmi, mia piccola troia,
come arginare il mio male?
Senza l’amata non vivrò:
quando la potrò toccare?
Il respiro fugge da me
Dio mio, non farà ritorno.
È atroce questo dolore.
Fiato malato, non guarirà.
Cosa farò mia piccola troia,
L’amata è qui, l’amata è qui.