Interviste
JEAN CLAUDE PENCHENAT
a cura di Marta Lìmoli
JEAN CLAUDE PENCHENAT
L’italien francaise
“Lo sguardo del bambino al mondo che ha attorno a sé, il suo primo approccio nello scoprire gli oggetti che lo circondano, questa prima fase dell’infanzia forse è quello che deve restare nell’attore e che dovrebbe apparire nel teatro che si fa.” Penchenat, da piccolo, intuisce la presenza, nel suo animo, di un germoglio: un giardino segreto, d’artista, che protegge col silenzio, perché parlarne, sia pur in confidenza, rischierebbe di inficiarne il senso privato. Fiorirà negli anni con entusiasmo e tenacia assai particolari, mantenendo per rigorosa scelta personale una ‘necessaria distanza’ dalla materia trattata (il personaggio teatrale, in particolare) poiché è con l’umorismo – e l’autoironia – che si può spiccare un volo oltre il quotidiano: Paradoxe sur le comédien. Questa riserva che può pervadere l’intento e il lavoro dell’attore, del regista, non conduce alla indifferenza verso la vita ma, al contrario, può diventare il giusto canale di osservazione e trasposizione artistica delle cose, dei fatti. La cultura aiuta tanto nella formazione eppure oggi ci sono, di contro, troppi attori e registi che hanno perduto parte della loro autenticità, ciò che faceva la forza dei teatranti ‘istintivamente giusti’, aperti a tutto quel che veniva loro proposto. Nei secoli, dall’epoca di Seneca, poi attraverso il teatro medievale, la religiosità – da cui nasce il Teatro – porta l’uomo ad avvicinarsi a tale espressione come una necessità. Con l’evolversi dei tempi, ci si accorge che inevitabilmente l’istrionismo prende il sopravvento. C’è sempre una scelta da sostenere fra quel che si dice e come lo si dice, ovvero ciò che è dentro e come viene fuori, conservando la consapevolezza. Nella successione di differenti forme di espressioni e proposte spesso prevale la forma. In periodi di crisi estreme bisogna richiamare al presente le verità essenziali anche se non formulate in una veste immediatamente intelligibile.
Rimane sempre quella sorta di va e vieni tra la ricerca di una formula e il desiderio di stupire e di sognare nel teatro. Per Jean Claude Penchenat è essenziale studiare per raccontare all’uomo sua storia nel corso dei mutamenti del costume. Farlo seguendo la linea della semplicità infantile, chiara, netta, comunque varia, come fosse un gioco in cui la comunicazione teatrale avviene attraverso uno straordinario scambio collettivo. Basa i suoi percorsi scenici sull’essenza del gesto; sarà la gestualità, il comportamento del corpo a determinare le situazioni mentre l’utilizzo della parole viene stordito dall’estrema esigenza di toccare il nucleo del linguaggio verbale, giungendo così alla parola en déshabillé, rinnovata nel suo valore, non più parola qualsiasi ma parola dei grandi poeti, autori che fanno affiorare immagini molto forti, violente, d’impatto. Quando l’immagine nasce dalla parola non può far a meno del gesto. L’immagine nascerà dalla parola e questa non potrà rinunciare al gesto. Quel che ha dato voglia a Penchenat di far teatro si deve al Cinema, “all’incontro” con artisti visti in primo piano sullo schermo: La bella e la bestia di Jean Cocteau; una pellicola che riunisce tutti i mezzi della fascinazione del teatro. “Per il pubblico, oggi, la scelta di recarsi in teatro è un rifugio” crede Penchenat. “È per questo che la noia, la mediocrità, sono terrificanti perché deludono quel desiderio e quell’esigenza di teatro che un certo genere di pubblico coltiva, custodisce e cerca in una profonda distrazione, qualcosa che valichi la realtà. Gli si toglie la voglia di tornarvi. L’ideale sarebbe avere spettatori che mantengano la freschezza, la spontaneità, lo stupore, la meraviglia, l’autenticità nel fruire una pièce, nella varietà, come le reazioni dei bambini sono tanto diverse: molto impressionati, molto divertiti, spaventati o silenziosi, interagiscono con gli attori con un moto imperativo di coinvolgimento o di rifiuto netto! Ma dipende sicuramente da noi teatranti, è chiaro. L’unico tipo di teatro che valga la pena d’esser veramente vissuto è il Teatro d’Arte. Il teatro di Stanislavskij a Mosca, per esempio. Ci si può guadagnare da vivere con qualsiasi genere ma se rimane soltanto questo.. è schiacciante!”
Il primo spettacolo a teatro visto da Jean Claude Penchanat è Arlecchino servitore di due padroni, per la regia di Strehler. All’epoca, diciottenne, Penchenat non ha ancora deciso di intraprendere l’avventura teatrale; invitato da amici a una messa in scena di giovani italiani assiste all’edizione storica con Ferruccio Soleri. Più tardi, durante i suoi studi in Francia, gli attori con i quali aveva formato una Compagnia, gli chiedono di allestire La locandiera di Goldoni. Penchenat ha invece intenzione di lavorare su Marivaux, che conosce assai bene come autore e con il quale aveva avuto un buon riscontro da regista, per cui decide di mettere in scena Il trionfo dell’amore.
Trovatosi in Italia in tournée, individua una raccolta di opere complete di Carlo Goldoni e la compra.
Inizia a leggere in veneziano e a tradurre con l’aiuto della moglie. In seguito, in Francia, insieme all’assistente di Strehler lavora sul testo L’impresario delle Smirne e lo porta in scena con un gruppo di attori di differenti generazioni. Si dedica alla traduzione di Una delle ultime sere di Carnovale, ritenendo le opere attraversate da implicazioni autobiografiche le più intriganti e le più forti. Comincia la sua relazione appassionata con Goldoni, ritrovandosi da lì in avanti a lavorare su parecchie opere, anche per il bicentenario dell’autore. Con la collaborazione di altri registi e nuovi gruppi di attori, si batte affinché si stabilisca un piano di traduzione, data la scarsa divulgazione.
L’ultimo affrontato è L’uomo di mondo, fra i primi scritti di Goldoni, che anche gli italiani in gran parte ignorano.
Rimane fondamentale la costituzione di un gruppo coeso che dia valore al lavoro collettivo sul quale fonda tutto il personale operato artistico; offrirlo al pubblico e toccarlo. “Non si possono montare spettacoli – in genere – contro la propria natura, testi con i quali non si è d’accordo, solo perché sono di moda ma bisogna trovare delle corrispondenze autentiche per andare avanti; andare fino in fondo a un’esperienza che si sceglie. Scuotere l’opinione pubblica, le istituzioni, affinché concedano spazio e attenzione alle vere creazioni artistiche, originali. Farsi ascoltare.”
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