La bella addormentata nel bosco, Anne Sexton

Sleeping Beauty

Consider
a girl who keeps slipping off,
arms limp as old carrots,
into the hypnotist’s trance,
into a spirit world
speaking with the gift of tongues.
She is stuck in the time machine,
suddenly two years old sucking her thumb,
as inward as a snail,
learning to talk again.
She’s on a voyage.
She is swimming further and further back,
up like a salmon,
struggling into her mother’s pocketbook.
Little doll child,
come here to Papa.
Sit on my knee.
I have kisses for the back of your neck.
A penny for your thoughts, Princess.
I will hunt them like an emerald.
Come be my snooky
and I will give you a root.
That kind of voyage,
rank as honeysuckle.

Once
a king had a christening
for his daughter Briar Rose
and because he had only twelve gold plates
he asked only twelve fairies
to the grand event.
The thirteenth fairy,
her fingers as long and thin as straws,
her eyes burnt by cigarettes,
her uterus an empty teacup,
arrived with an evil gift.
She made this prophecy:
The princess shall prick herself
on a spinning wheel in her fifteenth year
and then fall down dead.
Kaputt!

The court fell silent.
The king looked like Munch’s Scream.
Fairies’ prophecies,
in times like those,
held water.
However the twelfth fairy
had a certain kind of eraser
and thus she mitigated the curse
changing that death
into a hundred-year sleep.

The king ordered every spinning wheel
exterminated and exorcized.
Briar Rose grew to be a goddess
and each night the king
bit the hem of her gown
to keep her safe.
He fastened the moon up
with a safety pin
to give her perpetual light
He forced every male in the court
to scour his tongue with Bab-o
lest they poison the air she dwelt in.
Thus she dwelt in his odor.
Rank as honeysuckle.

On her fifteenth birthday
she pricked her finger
on a charred spinning wheel
and the clocks stopped.
Yes indeed. She went to sleep.
The king and queen went to sleep,
the courtiers, the flies on the wall.
The fire in the hearth grew still
and the roast meat stopped crackling.
The trees turned into metal
and the dog became china.
They all lay in a trance,
each a catatonic
stuck in the time machine.
Even the frogs were zombies.

Only a bunch of briar roses grew
forming a great wall of tacks
around the castle.
Many princes
tried to get through the brambles
for they had heard much of Briar Rose
but they had not scoured their tongues
so they were held by the thorns
and thus were crucified.
In due time
a hundred years passed
and a prince got through.
The briars parted as if for Moses
and the prince found the tableau intact.
He kissed Briar Rose
and she woke up crying:
Daddy! Daddy!
Presto! She’s out of prison!
She married the prince
and all went well
except for the fear —
the fear of sleep.

Briar Rose
was an insomniac . . .
She could not nap
or lie in sleep
without the court chemist
mixing her some knock-out drops
and never in the prince’s presence.
If it is to come, she said,
sleep must take me unawares
while I am laughing or dancing
so that I do not know that brutal place
where I lie down with cattle prods,
the hole in my cheek open.
Further, I must not dream
for when I do I see the table set
and a faltering crone at my place,
her eyes burnt by cigarettes
as she eats betrayal like a slice of meat.

I must not sleep
for while asleep I’m ninety
and think I’m dying.
Death rattles in my throat
like a marble.
I wear tubes like earrings.
I lie as still as a bar of iron.
You can stick a needle
through my kneecap and I won’t flinch.
I’m all shot up with Novocain.
This trance girl
is yours to do with.
You could lay her in a grave,
an awful package,
and shovel dirt on her face
and she’d never call back: Hello there!
But if you kissed her on the mouth
her eyes would spring open
and she’d call out: Daddy! Daddy!
Presto!
She’s out of prison.

There was a theft.
That much I am told.
I was abandoned.
That much I know.
I was forced backward.
I was forced forward.
I was passed hand to hand
like a bowl of fruit.
Each night I am nailed into place
and I forget who I am.
Daddy?
That’s another kind of prison.
It’s not the prince at all,
but my father
drunkenly bent over my bed,
circling the abyss like a shark,
my father thick upon me
like some sleeping jellyfish.

What voyage this, little girl?
This coming out of prison?
God help —
this life after death?

La bella addormentata nel bosco.

Prendiamo in esame
una fanciulla che continui a scivolar via,
braccia mosce come vecchie carote,
nella trance dell’ipnotista,
in un mondo di spiriti
che parli con il dono delle lingue.
È bloccata nella macchina del tempo
improvvisamente a due anni e si succhia il pollice,
all’interno come una lumaca,
deve imparare di nuovo a parlare.
È in viaggio.
Nuota sempre più indietro, rema sempre più contro,
come un salmone,
cercando di entrare nel portafoglio di sua madre.
Bambolina piccola,
vieni qui da papà
siediti sulle mie ginocchia.
Ho dei baci per la tua nuca.
Un soldino per i tuoi pensieri, principessa.
Gli darò la caccia come a uno smeraldo.
Vieni a farmi da spalla
e ti darò una radice.
Quel tipo di viaggio,
come caprifoglio.

C’era una volta un re
che aveva celebrato il battesimo
di sua figlia Rosaspina
e poiché possedeva solo dodici piatti d’oro
aveva chiesto solo a dodici fate
di partecipare al grande evento.
La tredicesima fata,
con le dita lunghe e sottili come cannucce,
gli occhi bruciati dalle sigarette,
l’utero come una tazza da tè vuota,
giunse con un dono malvagio.
Fece questa profezia:
la principessa si pungerà
con un fuso nel suo quindicesimo anno di età
e poi cadrà morta.
Kaputt!
La corte rimase in silenzio.
Il re sembrava l’urlo di Munch.
Le profezie delle fate,
in tempi come questi,
erano convincenti.
Tuttavia, la dodicesima fata
aveva una certa stoffa
e così mitigò la maledizione
mutandola dalla morte
in un sonno di cent’anni.

Il re ordinò che ogni fuso fosse
distrutto ed esorcizzato.
Rosaspina, crebbe per essere una dea
e ogni notte il re
stringeva l’orlo del suo abito in un morso
per tenerla al sicuro.
Aveva fissato la luna
con una spilla da balia
per darle luce perpetua.
Aveva costretto tutti maschi della corte
a raschiarsi la lingua con il Bab-o

per paura di avvelenare l’aria in cui ella abitava.
Così lei se ne stava nel suo odore.
Rango come caprifoglio.

Al suo quindicesimo compleanno
si punse il dito
su un filatoio carbonizzato
e gli orologi si fermarono.
Sì certamente. Si addormentò.
Il re e la regina si addormentarono,
i cortigiani, le mosche sul muro.
Il fuoco nel focolare si placò
e la carne arrosto smise di scoppiettare.
Gli alberi si trasformarono in metallo
e il cane divenne di porcellana.
Giacevano tutti in trance,
ciascuno catatonico
bloccato nella macchina del tempo.
Anche le rane erano zombie.

Cresceva solo un mazzo di rose in radica
si formava un grande muro di chiodini
intorno al castello.
Molti principi
cercarono di attraversare i rovi
perché avevano sentito molto parlare di Rosaspina
ma non si erano puliti la lingua
così venivano trattenuti dalle spine
e in questo modo crocifissi.
A tempo debito
passati cento anni
giunse un principe.
I rovi si separarono come per Mosé
e il principe rinvenne il tableau intatto.
Baciò Rosaspina
e lei si svegliò gridando:
papà! Papà!
Presto! È uscita di prigione!
Sposò il principe
e tutto andò bene
tranne che per la paura –
la paura di dormire.

Rosaspina
era insonne…
Non riusciva a schiacciare un pisolino
o a calarsi nel sonno
senza il chimico di corte
che mesceva alcune gocce per il ko
e mai in presenza del principe.
Se deve venire, diceva,
il sonno deve prendermi alla sprovvista
mentre sto ridendo o ballando
così che non riconosca quel posto brutale
dove mi sdraio con i pungoli del bestiame,
e il buco aperto nelle mie guance.
Inoltre, non devo sognare
perché quando lo faccio vedo la tavola apparecchiata
e una megera vacillante a casa mia,
i suoi occhi bruciati dalle sigarette
mentre divora il tradimento come una fetta di carne.

Non devo dormire
perché mentre dormo ho novant’anni
e penso di stare morendo.
La morte mi risuona in gola
come una biglia.
Indosso tubi come orecchini.
Giaccio immobile come una sbarra di ferro.
Puoi infilarmi un ago
attraverso la rotula e non mi tirerò indietro.
Mi hanno sparato la Novocaina.
Questa ragazza in trance
è una cosa tua.
Potresti seppellirla in una tomba,
un pacchetto orribile
e spalarle la terra in faccia
e non richiamerebbe mai: ciao!
Ma se la baci sulla bocca
i suoi occhi si apriranno di scatto e griderà: papà! Papà!
Presto!
È uscita di prigione.
C’è stato un furto.
Questo mi è stato detto.
Sono stata abbandonata.
Questo so.
Sono stata costretta a indietreggiare.
Sono stata costretta ad andare avanti.
Sono passata di mano in mano
come un cesto di frutta.
Ogni notte vengo inchiodata sul posto
e dimentico chi sono.
Papà?
Questo è un altro tipo di prigione.
Non si è comportato da principe
ma mio padre
è ubriaco chino sul mio letto
che gira intorno all’abisso come uno squalo,
mio padre mi tiene addosso
come una medusa addormentata.

Che viaggio eh, ragazzina?
Questa uscita di prigione?
Dio aiuto –
questa è la vita dopo la morte?